sabato 28 febbraio 2009

UNA MORTE DIGNITOSA

STORIA/ Eutanasia ed eugenetica, i progetti “umanitari” contenuti nel Mein Kampf

Fabio Ferrucci sabato 21 febbraio 2009


L’analogia fra i nazisti e la battaglia a favore dell’eutanasia può apparire «stralunata». Eppure, pochi hanno ricordato che lo sterminio degli ebrei fu preceduto da quella che Mireille Horsinga-Renno - nel libro in cui ricostruisce la vicenda del suo prozio Georg Renno, “medico della morte” ad Hartheim - definisce una «ragionevole strage», ovvero lo sterminio dei disabili (e di altri gruppi sociali ritenuti “degenerati”). Nell’ottobre del 1939 iniziò l’Aktion T4, con cui furono soppresse in maniera sistematica - “disinfettate”, secondo la macabra terminologia amministrativo-contabile del programma - oltre 70.000 persone. Per dare il via all’operazione, bastarono quattro laconiche righe: «Al capo del Reich Boulher e al Dott. Med. Brandt viene conferita la responsabilità di estendere la competenza di taluni medici, designati per nome, cosicché ai pazienti che, sulla base di un giudizio umano, sono considerati incurabili possa essere concessa una morte pietosa dopo una diagnosi approfondita». Firmato: Hitler.

L’Aktion T4 fu preceduta dall’eliminazione di bambini disabili fatti morire di inedia, oppure mediante la somministrazione di taluni farmaci in dosi massicce. Il primo su cui venne praticata l’eutanasia fu un bambino nato con gravi menomazioni fisiche, a cui successivamente sarà diagnosticata anche una condizione di “idiotismo”. Possiamo comprendere il dramma del padre e della madre nei quali maturò la convinzione che loro figlio non avrebbe avuto «nulla di umano», e che la sua vita «non avrebbe significato nulla per lui» e «solo sofferenza» per loro. Perciò i genitori supplicarono il Fürher di concedere l’autorizzazione a sopprimerlo. Hitler affidò l’incarico al suo medico personale, K. Brandt, lo stesso che in gioventù avrebbe voluto affiancare il dottor Schweitzer nel lebbrosario di Lambarené. Gli umanitari sono così: amano così tanto l’umanità, fino al punto di volere l’uomo, in carne ed ossa, morto. Per il suo bene, s’intende.

Il terreno per lo sterminio dei disabili fu preparato da leggi statali eugenetiche che attuarono la dichiarazione programmatica contenuta nel Mein Kampf: fare in modo che diventasse scandaloso metter al mondo bambini quando si è malati o difettosi. L’eutanasia costituì il «ragionevole» sviluppo delle leggi per la sterilizzazione delle persone disabili e degli asozialen, le quali stabilirono lo standard della vita degna, e «meritevole di essere vissuta».

Georg Renno, medico al Castello di Hartheim - dove vennero soppresse oltre 18.000 persone disabili – non negò mai quello che aveva fatto. Più semplicemente gli apparve una conseguenza logica, «ragionevole». Ad anni di distanza, nella sua serena vecchiaia, fu intervistato da un giornalista, a cui disse di avere la coscienza pulita, di non sentirsi colpevole. «Non è come se avessi ucciso qualcuno con un colpo di pistola o qualcosa del genere. Non si è trattato di tortura; per quei malati è stato piuttosto, per così dire, una “liberazione”».

Allora lo sterminio dei disabili venne attuato in gran segreto, di nascosto, da medici designati per nome. E quando fu proposto a Hitler di emanare una legge che depenalizzasse l’eutanasia per ottenere una maggiore adesione da parte dei medici al suo programma di «disinfezione», egli, per un cinico calcolo politico, ebbe il pudore di rifiutare. Oggi, noi umanitari, abbiamo perso anche quello.


http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=12827

lunedì 23 febbraio 2009

tutti vogliamo bene ai bambini Down...ma dove sono finiti?

di Didier Sicard

Il termine «eugenismo» ci rimanda alle pattumiere della storia. Mai più! Come non vi saranno mai più sperimentazioni selvagge sull'uomo senza il suo consenso, mai più disprezzo per le persone vulnerabili... Il paradosso, ma non è il solo in questa situazione, è che la messa al bando del termine permette la sua pratica con la coscienza tranquilla. L'eliminazione demonizzata del termine permette la sua realizzazione in totale tranquillità. Ma insorgono immediatamente voci di protesta: «C'è un eugenismo buono, il nostro, in opposizione a quello cattivo, quello di un tempo», «il nostro eugenismo, se esiste è individuale e non collettivo», «voi negate il progresso scientifico e le sue capacità predittive prima sconosciute», «noi non facciamo altro che evitare la venuta al mondo della sofferenza di un essere», «noi permettiamo di nascere a degli esseri normali che non sarebbero nati senza di noi».

I termini «eugenismo» e «aborto» devono essere ormai banditi dal nostro vocabolario, chiede la società. Devono essere sostituiti da «scelta libera di una vita che sta per nascere», interruzione medica, o meglio terapeutica (!) di gravidanza. Piuttosto che rinchiudersi in un dibattito senza via d'uscita, ricostruiamo il mondo su altre realtà. Smettiamo di fare paura alla società parlando di embrioni clonati o di clonazione a fini terapeutici. Ma usiamo l'espressione «trasferimento somatico di materiale nucleare». Così la società sarà decolpevolizzata non avendo più di fronte direttamente il concetto e i ricercatori non saranno più interrogati e in imbarazzo riguardo alle conseguenze sociali delle loro ricerche.

Chiediamo alla legge — per esempio, le leggi francesi dette di bioetica del 1994 e del 2004, il codice francese di salute pubblica — di proibire esplicitamente «qualsiasi pratica eugenica tendente a organizzare la selezione delle persone». La legge la vieta, dunque passiamo oltre, rassicuriamoci, non può esistere. Certo, ci sono delle «interruzioni terapeutiche di gravidanza», ma il loro numero non è noto perché non esiste un registro epidemiologico e ciò non solo rende difficile una valutazione delle pratiche, ma impedisce anche di condurre una vera riflessione.

Tentiamo tuttavia, senza eccessiva passione, di condurla.

Si possono distinguere così chiaramente l'eugenismo individuale e l'eugenismo collettivo? Apparentemente sì, perché non c'è una politica di Stato né una volontà di miglioramento delle stirpi umane. Ma c'è una politica di salute pubblica. Anche se non esprime un'intenzione, il risultato è che, per il suo carattere sistematico — è vero, sistematicamente proposto e non imposto, ma è la stessa cosa — e per il farsene carico collettivamente, attraverso il sistema sanitario della diagnosi prenatale, si delinea a poco a poco il progetto di una nascita senza handicap prevedibile o predicibile. Certo, non vi sono norme scritte, né linee guida, ma sembra stabilito che un bambino portatore di una trisomia 21 o 18 non dovrebbe nascere. Se nasce, c'è un errore, o persino una mancanza di responsabilità da parte del medico o della famiglia che deve essere sanzionata, con quella strana ma comprensibile idea che più il livello socioculturale s'innalza meno si verifica la nascita di un bambino trisomico (10 per cento contro 30 per cento).

Certo, non esistono testi che definiscono l'anormalità, la decisione d'interruzione medica di gravidanza si prende sempre caso per caso, l'ecografia non è obbligatoria, e neppure i test biologici. Ma guai a colei che li avrà ignorati! Così l'offerta medica e la domanda sociale provocano effettivamente un risultato selettivo che non si vuole riconoscere come tale.

«C'è un eugenismo buono, in opposizione a quello cattivo del passato». Questa affermazione si fonda sull'individuazione di un chiaro limite fra ciò che sarebbe o non sarebbe accettabile per una vita da essere vissuta. Le zone grigie sono naturalmente imbarazzanti, ma bisogna pur sempre pagare il prezzo di questo obbligo medico non stabilito. I ginecologi non amano il concetto di «pendio scivoloso». Ma non si può non constatare che le tecniche, i marker biologici, sempre più accessibili senza un intervento forzato sul corpo della madre, i progressi della diagnostica per immagini, concorrono a estendere senza fine l'ambito di ciò che è inaccettabile. Il feto deve essere sempre più trasparente. L'agenesi del corpo calloso (anomalia morfologica del cervello) comporta oggi quasi sempre l'interruzione di gravidanza detta "terapeutica" sebbene la metà dei bambini colpiti da questa malformazione non presenterà alcun deficit fisico o mentale. Lo stesso avviene per la malattia di Marfan, e meno male che Abraham Lincoln, Felix Mendelssohn, Sergej Rachmaninov sono vissuti nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo. L'eliminazione richiesta nel caso di emofilia non è più un tabù. I cancri con predisposizione genetica forte (al seno, al colon) si considerano non per il dibattito, ma per l'eliminazione attraverso una diagnosi pre-impianto. A partire dal momento in cui la finitezza umana s'iscrive in marker sempre più sofisticati, non c'è alcun limite per interrompere questa predizione che precede proprio l'interruzione di gravidanza. Il medico si può ribellare ma la pressione sociale sempre più intollerante verso l'handicap (malgrado i discorsi umanistici e generosi) plaude a ciò che considera come un progresso scientifico e umano senza limiti. Il medico, suo malgrado, è il braccio armato di una società che esige sempre più una nascita perfetta.

«Voi negate il progresso scientifico e ignorate che al contrario esseri che non sarebbero nati oggi nascono perché i genitori confidano nella medicina per avere un bambino normale». Questa argomentazione positivista s'iscrive in uno strano immaginario, con quella confusione esistente fra l'aiuto medico alla procreazione che, grazie alla diagnosi pre-impianto, sceglie gli embrioni buoni ed elimina quelli cattivi e quello che permette effettivamente di far nascere bambini in coppie considerate sterili, a causa del padre o della madre, con quella grande ambiguità che è la trasmissione volontaria di una mutazione prima non trasmissibile, come ad esempio proprio la sterilità legata ad anomalie del cromosoma Y nel padre. Certo, le cifre sono infinitesimali, ma permettono di avere la buona coscienza di far nascere bambini che non sarebbero nati senza la medicina. Farne tuttavia il versante rassicurante di una politica di depistaggio a scopo di eliminazione è quantomeno inquietante.

C'è poi il problema del «riduzionismo genetico». Dalla fine del diciannovesimo secolo, la scienza è tentata di imporre una forma di razionalismo che finirebbe per esprimere la verità dell'uomo. Il rinchiudersi in leggi matematiche, dalle quali sarebbe derivata la natura umana, finisce con l'intimidire le scienze umane, dette «scienze molli» in contrasto con le scienze dette «dure». La medicina si è ormai schierata. Occorre proporle e poi imporle modelli teorici come forme uniche di conoscenza. La schematizzazione è indubbiamente essenziale per la scienza, poiché senza di essa non è possibile alcuna ricerca; ma la questione resta epistemologicamente quella del modello come unica realtà che s'impone. La schematizzazione non ama i parametri caotici, il caso, le influenze esterne, il rapporto con l'ambiente che nella sua infinita complessità disorienta sempre lo scienziato. È patetico affidare ancora ai geni una spiegazione o piuttosto un'identità totalizzante; la genetica è arrivata dopo tutte le misure antropometriche ritenute un tempo la causa di un comportamento, ma questo non è bastato. Lombroso non è poi tanto lontano da Craig Venter... La conoscenza dell'interazione fra i geni, l'epigenetica, dovrebbe rendere più prudente la scienza circa la qualità delle sue predizioni.

Al di là di questi casi rari, e persino eccezionali di malattia monogenica o di cromosomi modificati, la genetica ha aperto la via alla nozione di predisposizione o di suscettibilità a una o a un'altra affezione. Da questa predisposizione all'eliminazione di qualsiasi rischio c'è purtroppo solo un passo, compiuto troppo in fretta. Il futuro delle predisposizioni cambia la percezione delle persone riducendo instancabilmente il fenomeno del vivente a una programmazione genetica. Ogni specialista presenta il suo gene, creando questa lista, questa banca dati per stabilire un progresso umano senza fine. Di recente, ad esempio, alcuni specialisti dell'ipertensione arteriosa polmonare primitiva, alcune forme della quale sono geneticamente determinate, hanno chiesto di poterne fare la diagnosi prenatale o pre-impianto, anche se solo il 20 per cento dei bambini che nascerebbero con questi geni correrebbero il rischio di presentarne i sintomi da 1 a 75 anni! Il gene detta la condotta da tenere, che è sempre la stessa, la promozione della sua assenza.

Lo Human Genome Project ha affascinato l'umanità per la sua rapidità nel definire la mappatura del genoma umano di cui Craig Venter ha avuto il primo campione personale. La sua mappatura dice qualcosa di lui, oltre a rivelare la sua ambizione insaziabile di assicurare un futuro radioso a questo mercato tentato più dall'imbroglio che dalla generosità?

Questa invasione dell'umano da parte di ciò che dicono i geni ha una tendenza naturale ad andare sempre verso ciò che vi è di meno grave e di più incerto. La soglia di quanto è accettabile dipende sempre più da ciò che è prevedibile. Sempre il modello! Ma la gravità delle manifestazioni diviene a geometria variabile a seconda del giudizio culturale di una o di un'altra comunità. Qui lo sradicamento della malattia di Tay Sachs, là della talassemia. La comprensione di tali atteggiamenti quando sono al centro della sopravvivenza di un gruppo umano divenuto così vulnerabile, lo diviene meno quando riguardano l'ipercolesterolemia familiare, le forme genetiche di Alzheimer e così via.

La genetica non ha il monopolio di questo rifiuto dell'umano. La diagnostica per immagini del feto sempre più sofisticata, nonostante l'assenza di risposte formali alle sue domande, non vuole più correre il rischio di individuare un'anomalia senza concludere che si tratta di un'anomalia che ormai non ha più diritto di cittadinanza. Einstein non supererebbe il filtro della diagnostica fetale contemporanea.

La biologia «da caccia», con le sue ricerche ed esami di cellule fetali circolanti nella donna incinta, tende a informarla il più presto possibile dell'identificazione cromosomica di questo o quel carattere che possono tradire eventualmente qualcosa di sgradevole del bambino che nascerà.

Tutti questi esperimenti hanno un solo fine: non quello di venire in aiuto, ma quello di prevenire la vita futura. Non si tratta forse di forme contemporanee nuove di eugenismo? L'eugenismo si definisce come un progetto politico o scientifico volto a influenzare la trasmissione di caratteri ereditari al fine di migliorare la razza umana. La scienza contemporanea ha semplicemente aggiunto alla trasmissione genetica la previsione a partire da una forma...

Stiamo andando verso una «normalizzazione umana». Se l'imperfezione tesse incessantemente la sua tela, si profila allo specchio l'immagine della perfezione. «Non vogliamo un bambino perfetto ma vogliamo un bambino normale» esclamano i difensori di queste strategie. Cosa vuol dire normale? Un bambino intelligente al quale manca un dito, che non potrà essere violinista ma un grande pensatore, o un corpo completo dall'intelligenza limitata che non potrà essere Einstein ma batterà il record del mondo di salto in alto? La normalità del medico non è quella dello scienziato, dei genitori, del padre, della madre, della società, del Paese di nascita.

Quale umanità stiamo costruendo? Un'umanità che non avrà le mutazioni genetiche scoperte nel suo tempo, ma quelle del futuro attualmente sconosciute, tanto più disastrose forse perché un gene non è altro che un recettore di influenze molteplici, represse o sollecitate. La storia umana è fatta di questi geni che hanno le due facce di Giano. Sopprimerne una permette forse di esprimere l'altra fino a quel momento censurata.

Una normalità umana è all'opposto della biodiversità tanto incensata nel nostro tempo. La ricchezza umana è sempre e per sempre legata alla presenza di persone anormali, devianti, e non di quelle normali. Dopo due secoli di scienza si potrebbe sperare che l'umanità ne abbia preso coscienza. Un giorno le ragazze non avranno più diritto all'esistenza come avviene in alcuni Paesi asiatici, un altro giorno toccherà ai ragazzi, come se questo squilibrio fosse senza conseguenze. L'umanità ha scelto la selezione scegliendo criteri sempre più filtranti, senza rendersi conto che essa stessa è il risultato di un meraviglioso caso.

Cambia lo sguardo sull'altro. Possiamo continuare a guardare senza disagio un essere colpito da una malattia di Marfan come un sopravvissuto di un'altra epoca? Possiamo continuare a ridurre un essere alla sua identità genetica, biologica o morfologica e capire che l'identità umana è felicemente multipla (Amartya Sen), mutevole e interrelazionale, e fortunatamente inafferrabile? A poco a poco la scienza statistica, con cifre del 20 o dell'80 per cento, detta il futuro dell'uomo. Quanto spazio resta per l'immaginario dei genitori? Come si può immaginare il futuro di quel bambino sempre più legato a marker il cui mercato finisce per essere l'unica finalità? Il gene uccide il sogno.

Il progresso scientifico ci distoglie forse dai valori che da sempre ci fondano, la speranza e il rispetto per l'altro. Non è perché dei progressi scientifici hanno permesso di impedire o di attenuare la sofferenza esistenziale di alcuni esseri che la risposta della società deve necessariamente portare alla loro eliminazione in nome della felicità umana. Non chiediamo alla scienza di illuminarci sul senso di una vita. La preoccupazione per l'altro passa forse prima di tutto per il suo diritto a esistere.

mercoledì 18 febbraio 2009

ELEGGERE UN GIUDICE?

(da una mail a Eugenio Memmi, curatore del sito tuttocasarano.it)

Caro Eugenio,
mi dispiace importunarti sempre con le mie mail.
Cerco di essere breve per farti perdere il minor tempo possibile.
Anzitutto ti ringrazio di aver pubblicato gli interventi dei membri del movimento per la vita e ti ringrazio perchè ti è pure costato un "teodem"...che dà fastidio a me, posso immaginare a te!
In merito all'articolo di Travaglio sullo stato liberale, vorrei precisare che in Italia c'è una legge che vieta il suicidio del consenziente, se ammettiamo l'ipotesi che Eluana fosse consenziente, sennò basta dire che è vietato l'omicidio.
Non credo che agli italiani faccia tanto paura un parlamento democraticamente eletto che fa le leggi, quanto una corte nominata per concorso che applica le sue idee interpretando a piacimento il codice, la legge c'era e non è stata rispettata...e la legge era stata promulgata dal parlamento eletto democraticamente...
Io personalmente non ho mai votato per l'elezione di un giudice e non vorrei che nel mio paese fosse gente non eletta a fare le leggi!
Poi se agli italiani piace berlusconi e vogliono che sia lui a fare le leggi, posso pure non essere d'accordo, ma devo rispettare la loro volontà, se mi piace uno stato democratico.
Ma se invece di uno stato democratico si preferisce qualcos'altro bisogna fare attenzione.

martedì 10 febbraio 2009

CHE ALMENO ELUANA NON SIA MORTA INVANO




CASINI: CHE ALMENO ELUANA NON SIA MORTA INVANO:
SUBITO L'AUTOPSIA E L'APPROVAZIONE DEL DDL GOVERNATIVO
E POI UNA BUONA LEGGE SUL FINE-VITA

«I fatti parlano da soli e alimentano i più gravi sospetti» commenta Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita, la notizia della morte di Eluana giunta proprio mentre il Movimento, insieme ad altre associazioni, era in piazza per chiedere di far presto nell'approvazione della legge. «Una camera appartata ed isolata perché nessuno entri e possa vedere, il cambiamento dell'iniziale protocollo per renderlo più breve e micidiale, la diffusione di notizie evidentemente false che Eluana stava ancora bene in modo che nella gara a chi arriva primo vincesse la morte. Si aggiungano gli errori ripetuti ed intrecciati della magistratura e le errate interpretazioni del rapporto tra poteri dello Stato.
«Speriamo almeno che Eluana non sia morta invano e che la indisponibilità della vita umana sia riaffermata in pieno in tutta la sua estensione e chiarezza. Speriamo che la rivolta morale del Paese faccia aprire gli occhi a tutti sul tema del diritto alla vita e della sua dignità fin dall'approvazione in tempi rapidi di una buona legge sul Fine-vita.
«Nell'immediato» conclude Casini «chiediamo il corpo della povera Eluana venga sottoposto ad autopsia per evitare che i sospetti che nascono spontanei possano essere dissipati o i colpevoli puniti. E chiediamo che almeno il disegno di legge governativo che non è riuscito ad arrivare in tempo vada avanti bruciando le tappe come era previsto per rassicurare ed esprimere solidarietà almeno alle mille e mille altre Eluane che ancora vivono».




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Daniele Nardi
Responsabile Area comunicazione
Movimento per la vita
Via Cattaro 28, 00198 Roma – tel. 06.8632.1901 – fax 06.8632.2953

domenica 8 febbraio 2009

PER I NON NATI


Sabato 14 Febbraio 2009, alle 18.30, presso la cappella dell'ospedale civile F. Ferrari a Casarano, ci sarà una celebrazione Eucaristica in memoria di tutti i bambini non nati. Siete tutti invitati.
Gli amici del Movimento per la Vita di Casarano.

giovedì 5 febbraio 2009

SIAMO PROFONDAMENTE AMAREGGIATI!

Movimento per la Vita - Casarano

Siamo profondamente amareggiati!
La scorsa notte Eluana Englaro ha compiuto l’ultimo viaggio della sua vita, un viaggio di sola andata, in direzione di Udine, con destinazione finale la Casa di cura “La Quiete”. Com’è rasserenante, com’è “acquietante” questo nome, come richiama amorevolmente il “requiescat in pace” di nostra conoscenza.
Al termine di questo viaggio in comoda ambulanza protetto dalla presenza di un bravo anestesista, nel volgere di poche settimane, la luce della vita di Eluana sarà definitivamente spenta, e il suo volto sorridente scomparirà definitivamente dagli schermi TV e dalle pagine dei giornali.
Dei bravi e precisi colleghi medici, forse anestesisti (in altre circostanze rianimatori), somministreranno quotidianamente e meticolosamente piccole dosi di non-vita sottraendo gradualmente cibo ed acqua, in obbedienza precisa e meticolosa alle sentenze di sapienti giudici, quelli che sanno sempre tutto e di tutto capiscono, per cui possono giudicare di tutto.
Eppure Eluana vive: respira regolarmente e autonomamente, il suo cuore batte ritmicamente e spontaneamente, ha un regolare ritmo sonno-veglia, al risveglio apre gli occhi, produce ormoni, recentemente ha anche avuto una mestruazione, fa la sua passeggiatina in giardino (ovviamente in carrozzella) quando il tempo è buono. E’ oggetto “vivente” delle amorevoli cure delle suore misericordine di Lecco. E’ vero, viene alimentata e idratata mediante sondino naso-gastrico, anche se ultimamente abbiamo appreso che ha potuto deglutire un sorso d’acqua. E’ vero, non ha le funzioni intellettive, non ha coscienza di sé, è in ”stato vegetativo”. Ma lo stato vegetativo è solo una forma di disabilità estrema, non è una malattia che porta a morte. E’ vero, lo stato vegetativo di Eluana è persistente da 16 anni, ma esso non può mai essere definito “permanente”, come la stampa e la magistratura ci hanno fatto credere scambiando maliziosamente la qualifica di “persistente” ( come per altre condizioni patologiche della Medicina Clinica, es. proteinuria persistente, ematuria persistente, epatite persistente, per le quali mai si userà il termine “permanente”) con quella di “permanente”, che include il concetto della irreversibilità. Ma lo stato vegetativo non potrà mai essere definito irreversibile, come ha confermato la conferenza di Londra del 1996, quando neurologi e ricercatori di tutto il mondo si confrontarono su questa patologia, i cui decorsi possibili sono ancora sconosciuti (oggi si sa che oltre il 50% dei pazienti in questo stato riacquistano anche dopo anni un margine seppur minimo di coscienza).
Dunque Eluana vive, è in stato vegetativo persistente, ha mostrato negli ultimi mesi sorprendenti segni di miglioramento. Eppure dei giudici sapienti e dotti hanno sentenziato che “deve morire”, perché il suo tutore legale (il padre) vuole fortissimamente che Eluana (sua figlia) muoia e perché la stessa Eluana non avrebbe voluto continuare a vivere della sola vita vegetativa. E la morte sarà “indolore”, si sentenzia, senza sofferenza. Sarà comunque prudente somministrare dei sedativi durante le procedure di sottrazione di cibo ed acqua (evidentemente i “sapientoni” qualche dubbio di non sapere proprio tutto l’hanno avuto).
Quello che amareggia profondamente è che ci siano medici disposti a dare la morte ad un malato, in spregio delle più elementari e nobili norme deontologiche della professione medica. Il medico è fatto per la vita, lotta per la vita, si sforza di strappare alla malattia e alla morte per riportare alla vita in pienezza. Quanto è triste sapere che non è sempre e per tutti così!
Ancora pochi giorni, e tutto sarà finito! Signore, abbia pietà di noi!

3 Febbraio 2009 Alberto Colonna

NONOSTANTE EUFEMISMI, PERIFRASI E...

Nonostante eufemismi, perifrasi, artifici dialettici ed acrobazie ermeneutiche che spesso caratterizzano l’argomentare giuridico di alcune Corti italiane, non può sfuggire ad una fredda e distaccata analisi del caso Englaro, il tentativo di introdurre, surrettiziamente, nel nostro ordinamento giuridico, attraverso un’interpretazione giudiziaria creativa, l’istituto giuridico dell’eutanasia, a sua volta specificazione, concretizzazione del c. d. diritto di morire. D’altra parte, molti tra coloro che oggi denunciano l’assenza di una regolamentazione giuridica della tematica del “fine vita” ed invocano, come urgente ed indifferibile, l’approvazione di una legge che introduca l’istituto del c. d. testamento biologico, sono fautori più o meno consapevoli di questo, davvero strano, “diritto di lasciarsi morire”.
Sono stati invocati a sostegno della decisione della Corte d’appello di Milano, numerosi principi costituzionali che, certamente, appartengono alla c. d. civiltà del diritto, ma, essenzialmente, il principio cardine, attorno a cui ruota il ragionamento dei giudici, è quello della libertà di autodeterminazione in campo terapeutico, secondo cui è illegittimo sottoporre a trattamenti medici un paziente contro la sua volontà. Principio nobilissimo, qualcuno potrebbe dire, e lo direbbe senz’altro a buon diritto! Il problema, però, qui non è evidentemente l’intrinseca bontà di questo principio che è, oggettivamente, incontestabile, ma la correttezza o meno della sua applicazione alla vicenda che ci occupa.
I giudici, infatti, hanno autorizzato la sospensione del trattamento di alimentazione ed idratazione artificiale di Eluana Englaro, sulla base della sua qualificazione, in termini di trattamento sanitario, tale da poter essere somministrato, solo con il libero consenso dell’ammalato. Ma, il dare da bere e il dare da mangiare ad un disabile, non possono evidentemente considerarsi dei trattamenti sanitari, ma una forma doverosa di sostegno vitale in favore di chi, a motivo del suo stato, non è in condizioni di nutrirsi e di idratarsi da sé, allo stesso modo in cui si alimentano e si idratano un malato terminale, oppure un neonato che, abbandonato a sé stesso, morirebbe di inedia. Quindi, i giudici hanno fatto passare per trattamenti sanitari brutalmente imposti ad una donna in stato comatoso, semplici atti di soddisfacimento di bisogni fisiologici, universali, avvertiti indistintamente dal sano come dall’ammalato, tanto da chi si trova in stato di incoscienza, quanto da chi si trova nel pieno possesso delle sue facoltà.
Qualcuno potrebbe tuttavia obiettare che i giudici hanno soltanto cercato, in assoluta buona fede, di rispettare la volontà della povera Eluana che avrebbe esternato ai suoi familiari il desiderio di farla finita nell’eventualità in cui, a causa di un evento traumatico, si fosse trovata in stato di coma vegetativo. Ora, se per un attimo abbandonassimo i condizionamenti emotivi del sentimentalismo buonista e del falso pietismo che ostacolano, o, come spesso accade, impediscono un giudizio sereno, non esiteremmo a riconoscere che quelle dichiarazioni, lungi dal costituire un atto di ultima volontà giuridicamente vincolante, sono piuttosto delle affermazioni che, spesso in preda all’emotività, siamo soliti fare tutte le volte in cui, magari in occasione di disgrazie che hanno colpito parenti o amici, pensiamo all’eventualità tragica del coma. Ma, anche a voler riconoscere a quelle dichiarazioni il carattere di una certa, lucida e definitiva manifestazione di volontà, non può, in base alle norme vigenti, invocarsi la volontà espressa dal disabile, prima di precipitare nello stato comatoso, allo scopo di autorizzare una struttura sanitaria a praticare una vera e propria eutanasia passiva, attraverso la omissione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale mediante sondino naso gastrico.
Cosa avrebbero dovuto fare allora i giudici? Considerando che i giudici non sono deputati alla produzione delle norme, ma soltanto alla loro interpretazione, essi avrebbero dovuto prendere atto della assoluta illiceità, alla stregua delle norme vigenti, di qualsiasi intervento volto a cagionare la morte del paziente, stante la superiorità e la intangibilità del bene della vita, un bene che non è nella disponibilità neppure del suo titolare.
Se il bene della vita fosse disponibile, non si capirebbe perché la legge penale punisca l’omicidio del consenziente. Si commette, infatti, reato tutte le volte in cui si procuri, direttamente o indirettamente, la morte a qualcuno, anche quando ciò avvenga in esecuzione della volontà suicida altrui. Infatti, anche se non è punito il tentativo di suicidio, è comunque punito il suicidio assistito che si esplica proprio nella prestazione di un contributo alla realizzazione proposito altrui di darsi la morte.
Quindi, il vero diritto affermato dai giudici milanesi, non è il diritto di autodeterminarsi in campo terapeutico, ma il preteso di diritto di lasciarsi morire, un diritto nuovo, di conio giurisprudenziale che andrebbe ad arricchire il catalogo dei diritti costituzionalmente tutelati della persona. Questa trovata è davvero geniale: abbiamo una Costituzione che tutela contemporaneamente la vita che è realmente un bene giuridico e la morte che, in sé, non è un bene, ma un semplice fatto che, da epilogo naturale dell’esistenza terrena, da evento tragico da esorcizzare, da comune destino, velato di mistero, diviene l’oggetto di una pretesa giuridica azionabile in giudizio.

-Movimento per la Vita-
Alessandro Carra

mercoledì 4 febbraio 2009

LA FORZA DELLA VITA NELLA SOFFERENZA

Si è svolta domenica 1 febbraio la 31° Giornata della Vita.

Il tema che i vescovi italiani hanno scelto per il loro messaggio è stato: la forza della vita nella sofferenza.

I vescovi affermano che la sofferenza è parte della nostra vita, appartiene al suo mistero ed a quello dell’uomo, ma che non ci si deve rassegnare ad essa e che quando la scienza lo permette, bisogna fare il possibile per alleviare le sofferenze, specialmente di chi si trova nella fase finale della vita.

Il tema della giornata per la vita di quest’anno, non è affatto casuale: vita e sofferenza sono le due grandi questioni che accompagnano la vicenda di Eluana Englaro. Dicono infatti i Vescovi in un altro passaggio: “C’è chi vorrebbe rispondere a stati permanenti di sofferenza, reali o asseriti, reclamando forme più o meno esplicite di eutanasia.”

Oltre al dolore che provoca la vicenda della povera Eluana, non bisogna dimenticare che quello che ha deciso per lei la Cassazione (e che sarà applicato fra pochissimi giorni) rappresenta un gravissimo precedente giuridico.

Eluana, con la sua vita o con la sua morte provocata, rappresenterà uno spartiacque per il diritto italiano. Non bisogna essere grandi giuristi per capire che la decisione della Cassazione non può essere in nessun modo giustificata con la Costituzione Italiana, e che non si può neppure parlare di “vuoto normativo”. Non occorre una nuova legge per vietare ciò che altre leggi vietano esplicitamente.


Fare le leggi partendo dai casi limite è una brutta abitudine italiana che spesso torna di moda; non è questa la sede per parlare della famosa 194, la legge che regola l’aborto in Italia, ma forse è bene ricordare che gran parte dell’opinione pubblica venne influenzata dalla faccenda di Seveso: il 10 luglio 1976 nello stabilimento della società ICMESA di Meda, confinante con Seveso, un reattore chimico destinato alla produzione di triclorofenolo, un componente di diversi diserbanti, perse il controllo della temperatura e si scaldò oltre i limiti previsti. Si formò una nube tossica che colpì in modo particolare il comune di Seveso. Immediatamente dopo l'avviso iniziarono a circolare voci di possibili malformazioni dei feti in quella zona.

I radicali, iniziarono una campagna di stampa (come sanno fare solo loro!) e con l’aiuto di medici compiacenti, convinsero molte gestanti della zona che i loro bambini avrebbero avuto serie malformazioni. Nonostante allora in Italia l'aborto fosse vietato, sotto la pressione crescente fomentata dai radicali, il 7 agosto il ministro della sanità Dal Falco e il ministro della giustizia Bonifacio, entrambi democristiani, ottenuto il consenso del Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, autorizzarono gli aborti per le donne della zona che ne fecero richiesta. Qualche decina di aborti fu praticata anche in Italia, in particolare presso la clinica Mangiagalli di Milano, e in due casi presso l'ospedale di Desio. Uniche voci importanti di dissenso furono Montanelli che parlò di aborto eugenetico e il cardinale di Milano, Giovanni Colombo, che disse: <>.

All'epoca non si praticavano diagnosi prenatali e le analisi compiute successivamente a Lubecca sui feti abortiti dimostrarono che erano tutti sani. Nessuno dei bambini abortiti e nessuno dei bambini che riuscirono a nascere era dunque handicappato, ma questa vicenda sdoganò l’aborto in Italia.


Forse questa storia non centra nulla con la vicenda Englaro, ma almeno due aspetti in comune ci sono: il primo e più importante è che a Seveso nel ’76, come a Udine oggi, si discute di vita e di morte, il secondo è che allora come oggi, una pressione mediatica pilotata, spinge l’opinione pubblica e le istituzioni a privilegiare la morte.


Trent’anni fa il cardinale di Milano chiese di salvare quelle vite, oggi lo fa la Chiesa tutta, lo fanno le suore che hanno amorevolmente accudito Eluana in questi anni e che più volte hanno chiesto al padre di lasciarla con loro.


Anche le comunità parrocchiali di Casarano con i soci del movimento per la vita hanno pregato il 25 novembre scorso per Eluana e continuano a farlo ora che lei ha più bisogno, si sono raccolte il 1 febbraio in preghiera a Nardò con il Vescovo Domenico Caliandro e continueranno la loro riflessione sul tema della vita il 7 febbraio alle 19.15 con un incontro nel salone polivalente della Parrocchia del Cuore immacolato di Maria e con una Messa nella cappella dell’ospedale sabato 14 febbraio alle 18.30.


Gli amici del movimento per la vita

“Gianna Beretta Molla” – Casarano



http://movimentoperlavitacasarano.blogspot.com

movimentovita.casarano@gmail.com

oppure venite a trovarci a Casarano in c.da Pineta (c/o B&B LA PINETA).

PER ELUANA E PER TUTTI NOI

preghiera e digiuno!


Movimento per la vita


IL MOVIMENTO PER LA VITA NEL COMITATO "PER ELUANA E PER TUTTI NOI"

Il Movimento per la via condivide gli obiettivi del Comitato "Per Eluana e per tutti noi" costituito in Friuli per dar voce alla protesta contro la decisione di lasciar morire di fame e di sete la giovane da 17 anni in stato vegetativo. In particolare, ovviamente, sarà la Federazione regionale del Friuli a lavorare nel Comitato con le proprie ramificazioni territoriali dei movimenti locali e dei Centri di aiuto alla vita.
Venerdi prossimo, quello che dovrebbe essere, secondo le indiscrezioni, il primo giorno di sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione, i militanti e simpatizzanti del Movimento osserveranno una giornata di digiuno come gesto di condivisione della sorte di Eluana, una iniziativa decisa dal recente Convegno dei Centri di aiuto alla vita.
Nel frattempo è stato inviato a tutti senatori il libro "Eluana e tutti noi" per offrire spunti di riflessione e di approfondimento in vista del dibattito sul disegno di legge sul Fine vita.

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Daniele Nardi
Responsabile Area comunicazione
Movimento per la vita
LungoTevere dei Vallati 2, 00186 Roma – tel. 06.689.2732 – fax 686.5725