domenica 25 ottobre 2009

Su RU486 e kit eutanasico: diritto dei farmacisti all’obiezione di coscienza

ROMA, venerdì, 23 ottobre 2009 (ZENIT.org).- I farmacisti hanno il diritto e il dovere all'obiezione di coscienza quando si tratta di fornire prodotti “che hanno per scopo scelte chiaramente immorali, come per esempio l’aborto e l’eutanasia”. E' quanto ha dichiarato questo venerdì mons. Mariano Crociata, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), in paertura dei lavori del Convegno nazionale dell’Unione Farmacisti Cattolici Italiani (UCFI).

Intevenendo all'incontro in svolgimento presso la Casa Bonus Pastor di Roma sul tema: “L’obiezione di coscienza del farmacista, tra diritto e dovere”, il presule ha affermato che tale questione riguarda oggi sia “taluni farmaci abortivi (come la RU486, per i farmacisti ospedalieri) o potenzialmente abortivi, quale in concreto la cosiddetta pillola del giorno dopo”, sia “taluni sviluppi (o meglio involuzioni) che si profilano in materia di fine vita, considerato che in alcuni paesi europei, come ad esempio in Belgio, risulta già in vendita nelle farmacie un kit eutanasico”.

Dalla metà di aprile del 2005, in Belgio, dietro presentazione di una prescrizione dettagliata, i medici di base possono acquistare presso le farmacie, al prezzo di 60 euro, un “kit per l’eutanasia” contenente tre dosi di un potente barbiturico, un paralizzante e qualche dose di sonnifero.

Nel 2008, stando ai dati presentati dalla Commissione federale di controllo e di valutazione, sono state registrate 705 dichiarazioni di eutanasia. Dal settembre 2002 in Belgio una legge stabilisce, infatti, la non punibilità del medico che pratichi il suicidio assistito.

In Italia, mentre in ambito sanitario l’obiezione di coscienza è prevista dalla legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza e dalla legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, per quanto riguarda la vendita dei farmaci essa non è prevista né dalla legge né dal codice etico dei farmacisti.

Riguardo la cosiddetta “pillola del giorno dopo”, prodotta in Italia con il nome commerciale di Norlevo e qualificata come “contraccettivo d’emergenza”, il presule ha ricordato che “in base alle evidenze scientifiche disponibili non si può escludere la concreta possibilità di un’azione post-fertilizzativa del farmaco stesso nelle ipotesi in cui, essendosi già verificata la fecondazione dell’ovulo e quindi la formazione dell’embrione, viene impedito all’embrione stesso di iniziare l’impianto nella parete uterina, con evidente effetto abortivo”.

A tal proposito, citando la prolusione del Cardinale Angelo Bagnasco al Consiglio permanente del settembre scorso, ha parlato del “rischio di una ulteriore banalizzazione del valore della vita”, ed ha sottolineato l'incoerenza di una legge 194 che nega ai farmacisti un diritto invece assicurato al personale sanitario.

Al contrario, ha sottolineato mons. Crociata, proprio i farmacisti sono chiamati a dare in questo ambito “una chiara testimonianza”, in quanto - come ha affermato Benedetto XVI parlando nell'ottobre del 2007 ai partecipanti al 25° Congresso internazionale dei farmacisti cattolici - essi rappresentano gli “intermediari fra il medico e il paziente” e svolgono “un ruolo educativo verso i pazienti per un uso corretto dell’assunzione dei farmaci e soprattutto per far conoscere le implicazioni etiche dell’utilizzazione di alcuni farmaci”.

“Per il farmacista cattolico, aderire all’insegnamento della Chiesa sul rispetto della vita e della dignità della persona umana, che è di natura etica e morale, rappresenta anzitutto un dovere, sicuramente difficile da adempiere in concreto ma al quale non può rinunciare”, ha ribadito il Segretario generale della CEI.

“Bisogna perciò, come singoli farmacisti e come associazione, attingere al patrimonio morale e agli insegnamenti della Chiesa e coordinarsi con l’azione pastorale che essa esercita a tutela della vita e a servizio dei malati”, ha detto qualificando poi come “significativa e lodevole” la scelta dell'UCFI di firmare il manifesto “Liberi per Vivere” promosso dal’Associazione Scienza & Vita.

“D’altra parte – ha aggiunto in seguito –, la riflessione ecclesiale che la Chiesa che è in Italia sta portando avanti sul tema dell’educazione rappresenta anche la via per un rilancio culturale della vostra professione, che spesso rischia di essere percepita e regolamentata come una pura attività commerciale, svuotata della sua dignità ed esposta a logiche economiche di tipo unicamente mercantile”.

Da questo punto di vista, ha precisato mons. Crociata, “il diritto-dovere all’obiezione di coscienza non riguarda solo i farmacisti cattolici ma tutti i farmacisti”, perché “educare le coscienze […] è oggi una priorità per il bene comune e l’interesse di tutti e una missione alta e certamente impegnativa”.

“Desidero quindi esortare voi tutti ad essere testimoni coraggiosi nell’esercizio della professione del valore inalienabile della vita umana, soprattutto quando è più debole e indifesa”, ha concluso infine.

Dieci buone ragioni contrarie all’aborto chimico. Decalogo contro la pillola RU486

ROMA, giovedì, 22 ottobre 2009 (ZENIT.org).

La questione della vita è al centro della Dottrina sociale della Chiesa, come ha chiaramente indicato Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate.
E’ al centro perché riguarda in modo radicale la dignità della persona e perché da come si affronta il tema del rispetto della vita umana dipendono tutte le altre questioni sociali. Su cosa si costruirà la vita comunitaria se la nostra coscienza è «ormai incapace di conoscere l’umano?» (Caritas in veritate n. 75) e se cediamo all’«assolutismo della tecnica».
L’Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa propone un Decalogo contro la pillola RU486, che considera espressione di una cultura disgregativa, che distrugge la passione per la vita e colpisce fin nelle origini il significato dello stare insieme.
di Monsignor Giampaolo Crepaldi
Presidente dell’Osservatorio




* * *
1. Un aborto è sempre un aborto. La modalità – chimica o chirurgica – con cui si realizza non cambia la sua natura di “delitto abominevole”, poiché non varia la volontarietà di provocare la eliminazione di un essere umano innocente.

2. L’ aborto chimico non è meno pericoloso per la salute della donna. Le notizie accertate di 29 morti riferibili direttamente all’uso dell’Ru 486 sono un dato che mostra come questa metodica sia dieci volte più pericolosa di quella chirurgica per la salute della donna. Ovviamente, entrambe sono ugualmente letali per la vita del concepito.

3. Sembra una medicina, ma è solo un veleno. Il mifepristone, chiamato Ru486 dall’industria farmaceutica Roussel-Uclaf che la studiò e la produce, compare in letteratura nel 1982 ed è un ormone steroideo sintetico che va a sostituirsi al progesterone, l’ormone che sostiene la gravidanza, rendendolo inefficace: di conseguenza l’embrione muore o, se sopravvive, il più delle volte ha gravi danni nello sviluppo e gravi handicap: questo è il motivo per cui, in Francia, le donne firmano un modulo che le impegna a ricorrere all’aborto chirurgico se la “pillola” non dovesse fare effetto completamente. L’associazione di mifepristone e prostaglandine non ha alcuna azione terapeutica, non cura nessuna malattia, non svolge alcuna azione benefica; ha un solo scopo: eliminare tramite la sua morte un embrione umano.

4. La “pillola” per abortire banalizza l’aborto. Utilizzare un prodotto chimico, per giunta catalogato come farmaco, induce due drammatici errori: ritenere che l’aborto sia un cosa facile e che rientri nell’ambito delle terapie mediche. Che non sia facile lo dimostrano le esperienze raccontate dalle donne, le tante sofferenze che restano sconosciute e possono manifestarsi anche dopo molti anni. Ed è una grave menzogna indurre a pensare che la gravidanza sia una “malattia” da potersi “curare”, ovvero da eliminare, attraverso una opzione medica. Una gravidanza è la presenza di un nuovo essere umano, non è un mal di testa o un raffreddore: non si trattano allo stesso modo!

5. L’ RU486 costringe la donna alla solitudine. Il mifepristone viene consegnato alla donna che lo assume personalmente; dopo qualche ora insorgono dolori ed emorragia che devono essere gestiti e monitorati personalmente, da riferirsi ad una successiva visita, durante la quale viene prescritta una seconda “pillola” che aiuta la definitiva espulsione dell’embrione. Il periodo di tempo in cui avviene il tutto può andare da tre a quindici giorni, con grande variabilità individuale dei sintomi dolorosi, per i quali comunque possono essere prescritti farmaci antidolorifici, sempre da autosomministrarsi. Impensabile che tutto il percorso sia realizzabile in ospedale, visti quali sarebbero i costi altissimi di un ricovero così prolungato: e questo pone la donna totalmente sola nella gestione dell’aborto, come avveniva e ancora avviene nell’aborto “clandestino”.

6. C’è poco tempo per una adeguata riflessione. Le pillole vengono consegnate alle donne in tempi necessariamente brevi, dovendosi assumere entro i primi 49 giorni della gravidanza per essere efficaci, non consentendo una articolata riflessione sulla decisione definitiva. La legge 194/78, che in Italia regolamenta l’aborto volontario, prevede che sia lasciato un tempo adeguato alla valutazione delle situazioni, delle possibili alternative e aiuti che la donna con gravidanza difficile può ricevere. L’RU 486 mette fretta, accorcia i tempi, appare anche nella sua tempistica come una “soluzione” rapida, quasi un automatismo: sono incinta – non lo voglio – prendo la pillola.

7. Svolge un’azione diseducativa. Quale può essere l’esito educativo di una mentalità di banalizzazione delle azioni, se non la deresponsabilizzazione? Se è possibile tecnicamente, non censurabile eticamente, accettato con disinvoltura e addirittura chiamato “progresso” e “conquista di civiltà” il fatto che, di fronte ad una difficoltà nella gravidanza, il modo più semplice per risolvere i problemi sia quello di “prendere una pastiglia”, come è possibile educare alla responsabilità?

8. Rappresenta una ideologia. L’auspicio, neppure troppo nascosto, è che questa modalità chimica diventi la normale via per abortire e che addirittura possa sostituirsi alla contraccezione, così da potersi ricorrere ad essa abitualmente. La mentalità di ricorso all’aborto tutte le volte in cui la contraccezione fallisce è uno degli effetti collaterali più pericolosi del cosiddetto “controllo delle nascite”. In un prossimo futuro, se davvero fosse utilizzata l’RU486 al primo insorgere delle gravidanze, l’aborto diventerebbe, ancor più di oggi, il mezzo di pianificazione familiare consueto, con una gravissima perdita di percezione della dignità della vita umana.

9. Non essendo un farmaco, non si può imporre ai medici di prescriverla.Spesso si associa il diritto all’obiezione di coscienza del medico e dell’operatore sanitario esclusivamente ad un intervento diretto. La somministrazione di farmaci è tendenzialmente vista come indifferente nella valutazione etica, poiché ciascuno sceglie e agisce in prima persona nell’assunzione di una medicina; questa “pillola” non è un farmaco e tantomeno un “salvavita”, anzi: perciò è il suo effetto (l’aborto diretto e volontario) che cade pienamente sotto la valutazione della coscienza di ciascuno. In particolare, ogni medico deve essere libero di dissociarsi e di rifiutarne la prescrizione, la quale sarebbe una attiva e consapevole cooperazione ad un atto reputato ingiusto e illecito.

10. Un aborto è sempre e solo un aborto. Nonostante la diffusione, nonostante i numeri tanto imponenti da oscurarne la percezione reale, nonostante l’inganno semantico di cambiarne il nome (interruzione volontaria della gravidanza), nonostante gli sforzi per renderlo inavvertito, banale, routinario, l’aborto resta un atto gravemente ingiusto, un lutto da elaborare, una ferita da guarire. Perderne consapevolezza non cambia la realtà dei fatti: un fatto è un fatto. In barba a tutte le ideologie.

giovedì 20 agosto 2009

Lo scopo ideologico della RU486

la lettera qui pubblicata è solo uno degli interventi di commento\risposta all'articolo pubblicato sul sito "tuttocasarano.it" dal presidente del MxV di Casarano.
Per chi volesse andare a capo dell'intera questione inseriamo qui il link dove è presente tutto il "dibattito": http://www.tuttocasarano.it/LE_VOSTRE_LETTERE/ru-486.html


Cari Remo e Patrizia,
quando si toccano temi delicati come "l'interruzione volontaria di gravidanza o "il fine vita" è
inevitabile che vi siano delle polemiche è questo entro certi limiti è normale, tuttavia vorrei
cercare di dare il mio contributo, senza alcuna pretesa di essere esaustivo, o di sentirmi "
superiore a nessuno".
Vorrei subito sgombrare il campo da un equivoco: gli aborti clandestini ci sono sempre ci sono
sempre stati e ahimè, forse continueranno ad esserci, non a caso quando l'aborto era un reato
c'erano le cliniche che praticavano aborti contro legge; per questo, la legge 194 si propone di
raggiungere un equilibrio tra l'interesse della donna a diventare madre secondo una scelta
libera e consapevole, e quello del feto a venire alla luce e ad avere una vita autonoma. Se si dà
una lettura veloce del testo non ci si può non accorgere che l'interruzione della gravidanza e
prevista solo come " extrema ratio" come l'ultima tappa di un percorso teso ad accertare quale
sia l'autentica volontà della donna ed i motivi che la spingono a praticare l'interruzione
volontaria di gravidanza.
La legge prevede che la gestante che voglia praticare l'interruzione volontaria di gravidanza
debba affrontare 2 colloqui: uno presso il consultorio familiare che avrebbe, il condizionale e
d'obbligo, il compito di appurare l'autentica volontà della donna, di indagare sui motivi che la
inducono all'interruzione volontaria della gravidanza, e darle tutto il sostegno possibile, e
soltanto alla fine rilasciarle il relativo certificato; un altro colloquio presso la struttura pubblica
che deve effettuare l'intervento
Nella realtà questa procedura viene letteralmente bypassata ciò per 2 ragioni:
1) I consultori familiari pubblici non funzionano come dovrebbero
2) Per avere un certificato che autorizzi l'interruzione volontaria della gravidanza molto spesso
basta fare finta di minacciare il suicidio.
Lo so perché delle mie amiche lo hanno fatto.
Tutto questo giro di parole, e scusatemi se sono barboso, per dire che " il movimento della
vita", non ha la pretesa di cancellare sic et simpliciter la legge 194, anche perché ma vuole
promuoverne una sua integrale attuazione.
Non è un caso che gli abortisti usano da trent'anni gli stessi argomenti: la legge 194 è una
conquista di civiltà della donna ergo non si può toccare; abrogare la legge significherebbe
precipitare nel far west degli aborti clandestini, il problema è che da trent'anni a questa parte ,
com'è ovvio le cose sono cambiate: le tecniche con cui vine praticata l'interruzione volontaria
di gravidanza sono cambiate, ormai non c'è solo l'aborto chirurgico, ma anche quello chimico,
vedi appunto la RU 486.
Su una cosa concordo con te Patrizia: quando dici che la scelta per l'interruzione volontaria
della gravidanza è sempre una scelta sofferta, per questo, il movimento della vita in questi
anni si è adoperato per dare alla donna, il supporto morale e psicologico necessario, riuscendo
così a salvare 100. 000 bambini.
Credo che questo dato metta in risalto come l'identikit della donna che sceglie d'interrompere
la gravidanza non corrisponda a quello della tipica donna in carriera che si trova a dover
accettare una creatura non desiderata ne alla donna che è costretta a ricorrere all'aborto
perché ha a che fare con problemi che riguardano direttamente il bambino che porta in
grembo. Molto Spesso la scelta di abortire è maturata dalla donna in solitudine.
La RU 486 dietro il mal celato tentativo di rendere l'attuazione dell' I.V.G. Meno drammatica
della donna, rischia di portare al risultato contrario, quello di portare la donna ad una scelta
irrevocabile.
Anche io svolgo attività di volontariato in parrocchia e prima di trasmettere delle nozioni cerco
di portare ai ragazzi la mia esperienza di vita , mi sono sempre chiesto come reagirei se una
ragazza del mio gruppo venisse a confidarmi l'evento di una gravidanza non desiderata.
E' per questo che ho scelto di far parte del movimento per la vita.
Claudio Schiavano

mercoledì 5 agosto 2009

La pillola Ru486, quando si banalizza la vita

La pillola Ru486, quando si banalizza la vita

CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 31 luglio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'articolo dell'Arcivescovo Rino Fisichella, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, apparso su “L'Osservatore Romano”.

* * *

C'è una triste tendenza che si sta imponendo poco alla volta in alcuni frammenti della cultura contemporanea: la banalizzazione. Dalla vita alla morte tutto sembra sottoposto a un mero processo semplificativo che tende a rinchiudere ogni cosa in un affare privato senza alcun riferimento agli altri. In questo modo, però, la coscienza si assopisce e diventa progressivamente incapace di giudizio serio e veritiero.

L'applicazione della pillola Ru486 a tecnica abortiva è stata una via di ripiego per recuperare i capitali investiti dopo la verifica del fallimento per la sperimentazione che era stata prefissata. Già questo «banale» particolare la dice lunga sullo scopo di alcune ricerche che vengono fatte nei laboratori. Dimenticare che la scienza e la ricerca tecnologica devono avere come loro primo scopo quello di promuovere la vita e la sua qualità comporta un inevitabile slittamento con la conseguenza di porre al primo posto la sete di guadagno e non la salvaguardia della natura. I proclami sulla neutralità della scienza rimbombano in alcuni momenti particolari con il solo scopo di accreditare un prodotto piuttosto che per ricordare il valore fondamentale che la ricerca possiede. Non si può divenire complici di queste situazioni, denunciate con coraggio da Benedetto xvi nella sua ultima enciclica Caritas in veritate, quando in gioco vi è la vita umana.

Fermarsi alla sola analisi del rapporto costi e benefici per introdurre nel mercato la Ru486 è una posizione molto pilatesca sulla quale si dovrà riflettere per non cadere in altrettante forme di ipocrisia. Dovrà pur esserci un'autorità in grado di considerare i gravi rischi a cui le donne sono sottoposte nel momento in cui fanno ricorso a questo farmaco. Come ci si può sottrarre davanti al fatto che troppi casi di morte si sono verificati dopo l'assunzione di questo trattamento? Come non considerare gli aspetti etici che questa pillola comporta? Come trascurare l'impatto che avrà sulle giovani generazioni di ragazze che ricorreranno sempre più facilmente a questo uso?

Gli interrogativi non sono affatto ovvi e obbligano a una risposta che si faccia carico di fornire argomenti per non rincorrere i soliti luoghi comuni. I sofismi, in questo caso, possono servire per una forma di personale soddisfazione, ma non convincono sulla drammaticità della situazione che deve essere affrontata. Inutile tergiversare. La Ru486 è una tecnica abortiva perché tende a sopprimere l'embrione da poco annidato nell'utero della madre. Che il ricorso all'uso di questa pillola sia meno traumatico che sottoporsi all'operazione è tutto da dimostrare. Il primo trauma nasce nel momento in cui non si vuole accettare la gravidanza ed è proprio qui che si deve intervenire per aiutare la donna a comprendere il valore della vita nascente. L'embrione non è un ammasso di cellule né un po' di muffa come qualcuno ha avuto l'ardire di definirlo; è vita umana vera e piena. Sopprimerla è una responsabilità che nessuno può permettersi di assumere senza conoscerne a fondo le conseguenze.

L'assunzione della Ru486, quindi, non rende meno traumatico l'aborto, solo lo rinchiude ancora di più nella solitudine del privato della donna e lo prolunga nel tempo. È necessario ribadire che quanti vi fanno ricorso stanno compiendo un atto abortivo diretto e deliberato; devono sapere delle conseguenze canoniche a cui vanno incontro, ma soprattutto devono essere coscienti della gravità oggettiva del loro gesto. L'aborto è un male in sé perché sopprime una vita umana; questa vita anche se visibile solo attraverso la macchina possiede la stessa dignità riservata a ogni persona. Il rispetto dovuto verso l'embrione non può essere da meno di quello riservato a ognuno che cammina per la strada e chiede di essere accolto per ciò che è: una persona.

La Chiesa non può mai assistere in maniera passiva a quanto avviene nella società. È chiamata a rendere sempre presente quell'annuncio di vita che le permette di essere nel corso dei secoli segno tangibile del rispetto per la dignità della persona. Il cammino che si deve percorrere diventa in alcuni momenti più faticoso perché è difficile far comprendere che la via da seguire per mantenere il primato dell'etica non è quella di fornire con molta tranquillità una pillola, ma piuttosto quella di formare le coscienze. Questo compito è arduo perché comporta non solo l'impegno in prima persona, ma la capacità di farsi ascoltare e di essere credibile. La nostra opposizione a ogni tecnica abortiva è per affermare ogni giorno il «sì» alla vita con quanto essa comporta. Ciò significa ribadire il nostro richiamo all'urgenza educativa perché i giovani comprendano l'importanza di fare propri dei valori che permangono come patrimonio di cultura e di identità personale. Non potremo mai abituarci alla bellezza che la vita comporta dal suo primo istante in cui fa sentire di essere presente nel grembo di una madre fino al momento estremo in cui dovrà lasciare questo mondo.

Per questo motivo dinnanzi alla superficialità che spesso incombe permane immutato l'impegno per la formazione, così da cogliere giorno dopo giorno l'impegno per vivere la sessualità, l'affettività e l'amore con gioia e non con preoccupazione, ansia e angoscia.

[L'OSSERVATORE ROMANO - Edizione quotidiana - del 1 agosto 2009]

martedì 16 giugno 2009

Il no all'aborto è un'idea solo dei cattolici?

Il no all'aborto è un'idea solo dei cattolici?


ROMA, domenica, 14 giugno 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica le risposte ad alcune domande riguardanti l'aborto elaborate da Carlo Casini, già magistrato di Cassazione e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica. Casini è inoltre Presidente del Movimento per la Vita italiano, membro della Pontificia Accademia per la Vita e docente presso l'Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum" di Roma.

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Perché sull'aborto la Chiesa vuole imporre le proprie idee anche a chi non crede?
Il pensiero cristiano non riguarda solo l'aldilà, ma anche i rapporti tra gli uomini. La regola d'oro, "ama il prossimo tuo come te stesso", ha un valore non solo morale, ma anche civile. Chi potrebbe dire che la Chiesa non può esortare al rispetto del comandamento "non uccidere" perché si tratterebbe di un precetto religioso? Al fondo della ridicola obiezione che la Chiesa non deve imporre la Fede a nessuno sta il presupposto che il bambino concepito non sia un bambino, che il figlio sia una cosa e non un essere umano. Ma questo è proprio contro la rag ione e la scienza. Quando i credenti chiedono allo Stato di difendere il diritto alla vita non impongono proprio nulla. Si limitano a chiedere, e nelle democrazie chiedere significa anche votare e proporre leggi. Una legge che difende i diritti dei bambini non nati non è una legge di culto: non impone di andare a Messa la domenica, di digiunare in Quaresima o di pregare ogni giorno!
L'aborto non offende solo la visione religiosa dell'uomo, ma anche - e prima ancora - la ragione e la base stessa della società civile, la quale si costituisce e si organizza proprio per difendere la vita di tutti. Chi invoca il principio di laicità per legittimare l'aborto non sa quello che dice. La vera laicità non consiste nel contrastare la Chiesa e neppure nel ritenere di uguale valore tutte le possibili opinioni. Essa è un atteggiamento di fiducia nella ragione, come patrimonio comune che consente a tutti gli uomini di lavorare insieme, e si riconosce in un unico unificante valore: la uguale dignità di ogni essere umano, anche a prescindere da una Fede religiosa (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani).
Eppure si legge continuamente che la questione dell'aborto e della legge che lo regola investe qualcosa di più dell'aborto stesso. Riguarda la stessa concezione dello Stato laico. Come rispondere?
E' vero. E' proprio così, ma in senso esattamente opposto a quanto pensano i sostenitori di un potere statale libero di decidere sulla vita o sulla morte degli esseri umani senza alcun limite. La laicità dell'azione civile è cosa molto positiva e importante. Essa si oppone allo stato confessionale che ha caratterizzato la storia anche europea per molto tempo e che ancora oggi esiste specialmente nel mondo musulmano. E' Stato confessionale quello che pone la forza della legge civile a servizio della Fede, la quale, così, viene imposta ai cittadini dalle autorità civili. Molte guerre religiose sono state scatenate in passato da questa visione. Il principio "cuius regio eius et religio" stabiliva la regola che il popolo doveva seguire la stessa Fede e pratica religiosa del Re o del Principe. Fortunatamente, la modernità rifiuta questo modo di vedere il rapporto tra Fede e società civile.
La religione è il territorio più vasto della libertà e non può essere imposta. I cittadini sono in grado di vivere e di lavorare insieme anche se hanno pensieri diversi su Dio e sul destino della storia e delle singole vite umane. Ma questa possibilità di cooperazione pacifica e fruttuosa di tutti gli uomini in quanto tali suppone qualcosa di comune. In effetti, tutti possiedono la ragione, che è lo strumento con cui l'uomo può vedere la strada per camminare. Inoltre anche la direzione fondamentale del cammino è comune: la promozione della uguale dignità umana, come sta scritto nei più solenni e laicissimi documenti dell'umanità del nostro tempo, come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Non è dunque vero che "laico sia l'atteggiamento di chi nega in radice qualsiasi verità".
Vi sono due aspetti che non possono essere messi in discussione: la fiducia nella ragione e il valore dell'uomo. Vi è dunque un concetto nobile di laicità che tocca il diritto alla vita e dunque anche la questione dell'aborto. Anzi, proprio il riconoscimento del valore di ogni essere umano e quindi anche di colui che non è ancora nato è fondativo e confermativo della laicità . La visione cristiana dell'uomo non è in contrasto con la coscienza laica. Al contrario, proprio perché il cristianesimo rivela l'origine ultima e i contenuti più profondi della dignità umana, consolida quanto ogni uomo con la sua ragione intuisce o postula. Proprio nella questione antropologica, così come oggi si pone, si verifica un capovolgimento prezioso: non è più la forza dello Stato che aiuta la religione, ma al contrario è la Fede che sostiene la società civile nel suo obiettivo di fondo.
Che dire della pretesa di considerare l'aborto un diritto umano fondamentale?
Questa tesi è stata sostenuta particolarmente nella Conferenza su "popolazione e sviluppo", promossa dall'ONU al Cairo nel 1994, ma non ha trovato accoglienza nel piano finale di azione, dove fu usata la forma di compromesso: "L'aborto non può essere promosso come mezzo di controllo delle nascite". Ma, certamente, se viene negata l'identità umana del concepito, se l'aborto viene considerato uno strumento di tutela della salute, se i valori da perseguire sono soltanto la libertà e l'emancipazione della donna, allora diventa difficile non iscrivere l'interruzione della gravidanza nell'elenco dei diritti umani, mentre, al contrario, proprio il riconoscimento dell'uomo e della sua uguale dignità fin dal suo primo comparire nell'esistenza consolida tutta la teoria dei diritti umani. Essi perdono forza se non ne identifichiamo il titolare. E' inutile un elenco di diritti se è incerto il soggetto che li possiede, o peggio se gli Stati pretendono di definirlo autoritativamente con l'effetto di violare il principio di uguaglianza qualora vengano usati criteri restrittivi. Appare dunque evidente che di fronte all'embrione racchiuso nel seno materno o chiuso in una provetta la dottrina dei diritti umani si trova di fronte ad una svolta che può essere positiva (il suo consolidamento) ovvero dalle tragiche conseguenze, se l'uomo è negato. Ciò rivela il carattere tutt'altro che marginale della "questione antropologica".
Riguardo alla Legge 194, se da un lato molti parlano di un diritto all'aborto, altri dichiarano che la legge non lo considera un diritto. In realtà, dal punto di vista dell'ordinamento giuridico positivo italiano, esso è un diritto quando se ne sono verificate le condizioni formali e sostanziali.
Infatti, secondo l'ultimo comma dell'art. 8, il documento e il certificato rilasciato alla donna dal medico costituiscono "titolo" per eseguire l'intervento, che dunque non può essere negato perché la donna ha il diritto di ottenerlo. Peraltro, l' indicazione della Corte Costituzionale vorrebbe confermare una sorta di "stato di necessità" particolare, perché legato alla singolarità della gravidanza. Ne dovrebbero derivare conseguenze pratiche di rilievo specialmente in materia di risarcimento del danno per un aborto non riuscito o per una malformazione del figlio non individuata. Non è il caso di insistere in questa sede su questo complesso problema giuridico. In ogni caso è da escludere che anche nella Legge 194 l'aborto possa essere considerato come un diritto umano fondamentale.
Per chi volesse approfondire il tema, consigliamo la lettura del libro di Carlo Casini "A trent' anni dalla legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza" (Edizioni Cantagalli - Marzo 2008).


[I lettori sono invitati a porre domande sui differenti temi di bioetica scrivendo all’indirizzo: bioetica@zenit.org. I diversi esperti che collaborano con ZENIT provvederanno a rispondere ai temi che verranno sollevati. Si prega di indicare il nome, le iniziali del cognome e la città di provenienza]

sabato 30 maggio 2009

incoraggiamento dal Papa

GRATI AL PAPA PER L’INCORAGGIAMENTO ALL’AZIONE SUL FINE VITA
Uno stimolo a lavorare anche sul piano legislativo


«Siamo molto colpiti dall’attenzione che i vescovi italiani ed il Papa stanno dedicando a Liberi per vivere il programma culturale e operativo che vede il Movimento per la vita impegnato al fianco del Forum delle famiglie e di Scienza&vita per far crescere la riflessione su vita e libertà» commenta Carlo Casini, presidente del Movimento per la vita.
«Il tema del fina vita evoca la triste vicenda di Eluana, ancora ben presente nella memoria di tutti gli italiani. Per evitare che altre persone, malati o in condizione di grande fragilità, si trovino ad affrontare lo stesso calvario è necessario muoversi, oltre che sul piano culturale, anche alla ricerca di soluzioni legislative. In questo senso bisogna vigilare perché alla ripresa dell’attività parlamentare riprenda l’esame della legge già approvata dal Senato, vincendo le forti tendenze all’insabbiamento.
«In questo senso il Movimento per la vita offre la propria competenza giuridica e la propria collaborazione alla politica. Abbiamo già condiviso con il mondo cattolico una riflessione (“Dieci domane e dieci risposte sul Fine vita”)» conclude Casini. «Questo stesso lavoro, appena superata la fase elettorale, sarà messo a disposizione dei deputati e crediamo che possa costituire una buona base di partenza per il dibattito parlamentare».

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Daniele Nardi
Responsabile Area comunicazione
Movimento per la vita
LungoTevere dei Vallati 2, 00186 Roma – tel. 06.6830.1121 – fax 06.686.5725

Dal caso Englaro alle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (I)

Dal caso Englaro alle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (I)
(dal sito: www.zenit.org)

ROMA, domenica, 24 maggio 2009 (ZENIT.org).- La vicenda di Eluana Englaro e la discussione in Parlamento per una legge di fine vita suscitano ogni giorno nuove domande. Per la rubrica di Bioetica ne abbiamo raccolte un certo numero ed abbiamo chiesto al prof. Lucio Romano di rispondere.

Il prof. Romano è dirigente ginecologo nel Dipartimento di Scienze Ostetrico Ginecologiche, Urologiche e Medicina della Riproduzione dell’Università di Napoli “Federico II”, e docente di Ostetricia al Corso di Laurea Specialistica in Scienze Ostetriche. E' inoltre docente di Bioetica ai corsi di laurea dell’Università Cattolica del Sacro Cuore presso l’A.O. S. Carlo di Potenza; e alla Facoltà di Bioetica e al Master in Bioetica dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma. E' Vicepresidente del Movimento per la Vita Italiano e componente del Consiglio Esecutivo nazionale dell’Associazione “Scienza & Vita”. Fa inoltre parte del Comitato Scientifico della rivista “I Quaderni di Scienza & Vita” ed è autore insieme a Maria Luisa Di Pietro, Maurizio P. Faggioni e Marina Casini del volume Dall'aborto chimico alla contraccezione d'emergenza” (Edizioni ART, Roma 2008).




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Dopo il 9 febbraio 2009, qual è la situazione in merito alla vicenda Englaro?

Quando l’emotività va diradandosi, l’indicibile amarezza per la soppressione di una vita già estremamente fragile appena si attutisce e le posizioni antitetiche lasciano spazio a tentativi di dialogo, ineludibili si impongono riflessioni argomentate secondo ragione e rigorosamente fondate da cui partire. Potremmo ritenere che una capillare divulgazione mediatica tutto abbia già detto, che ognuno abbia già perfettamente chiare le dinamiche della vicenda Englaro e che abbia fatto una scelta di campo, “oggi per allora”. Tuttavia la delicatezza degli argomenti e le ricadute sociali, culturali, etiche, politiche impongono supplementi di riflessioni e discernimento. La complessità della tematica suggerisce di riconsiderare alcuni degli innumerevoli aspetti meritevoli di attenzione.

Che cosa si intende per eutanasia?

Secondo classica definizione, è “un’azione o un’omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. L’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati”. Così per l’Organizzazione Mondiale della Sanità ” è l’atto con cui si pone deliberatamente fine alla vita di un paziente, anche nel caso di richiesta del paziente stesso o di un suo parente stretto”. Riguardo all’azione, quindi, l’eutanasia è attiva quando si procede direttamente con un’azione che induce la morte; omissiva o passiva quando non si somministra una terapia o si interrompe un sostegno vitale; terminale quando si realizza appunto su di una persona in fase terminale conseguente a grave patologia.

Si può pensare che la definizione ed il concetto di eutanasia vanno a modificarsi?

Certamente. Nel dibattito attuale, come già richiamato da Adriano Bompiani, Bruno Dallapiccola, Maria Luisa Di Pietro e Aldo Isidori, il termine eutanasia si utilizza per indicare solo forme dirette o attive di uccisione del paziente, mentre l’eutanasia indiretta o per omissione è stata ridotta al rango di un generico rifiuto/rinuncia dei trattamenti sanitari. “[…] Depotenziando il dovere di garanzia del medico nei confronti del paziente e decontestualizzando l’astensione/sottrazione di trattamenti sanitari che non troverebbero giustificazione nei criteri di sproporzionalità/straordinarietà, si legittimano di fatto forme di eutanasia “indiretta o per omissione”. Altra considerazione è che va rilevato una scenario eutanasico con una voluta oscillazione tra disponibilità e indisponibilità della vita; riduzione della complessità della casistica alla genericità della norma; decontestualizzazione delle decisioni. Questi ed altri fattori aprono a qualsiasi scenario anche celatamente eutanasico, in cui giudizi sociali sulla qualità e sulla dignità della vita possono entrare come indisturbati coprotagonisti. Lo scenario eutanasico fu già descritto e preconizzato da F.W. Nietzsche nel “Crepuscolo degli idoli”: “Il malato è un parassita della società. In certe condizioni non è decoroso vivere più a lungo. Continuare a vegetare in una imbelle dipendenza dai medici e dalle pratiche mediche, dopo che è andato perduto il senso della vita, il diritto alla vita, dovrebbe suscitare nella società un profondo disprezzo».

Quindi una vera e propria riformulazione del concetto di eutanasia?

Un tentativo di riformulazione assolutamente non condivisibile. Si assegnerebbe, in tal modo, liceità etica e giuridica ad un’azione o un’omissione che procuri la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore, sulla scorta della sola richiesta sebbene autonoma e consapevole. E’ opportuno definire, sotto il profilo etico, due termini ricorrenti e spesso sovrapponibili: uccidere e lasciar morire. Uccidere è sempre moralmente illecito, lasciar morire può essere comportamento colpevole, non colpevole o addirittura virtuoso. In entrambi i casi la causa della morte è sempre la malattia ma diverse le responsabilità morali. “Nell’abbandono e nella sospensione dei trattamenti la causa diretta della morte è la malattia, ma ciò che fa la differenza è il fatto che nell’abbandono la morte poteva e doveva essere evitata (quindi l’abbandono terapeutico e assistenziale si costituisce come una colpa morale). Nella sospensione dei trattamenti, invece, la morte non poteva essere evitata, e non si doveva, per prolungare un processo agonico già iniziato, infierire sulla condizione terminale della persona (e in questo caso l’atto della sospensione è moralmente doveroso).”

E nel caso di Eluana Englaro?

Eluana Englaro, sotto il profilo clinico, non era una paziente in stato terminale ma affetta da una gravissima disabilità. Non era morta e non era collegata ad alcuna strumentazione (es. respiratore artificiale, ecc.). Usufruiva dei comuni mezzi di assistenza, propri per quelle determinate situazioni e, tra l’altro, alimentazione e idratazione con sondino naso gastrico. Se considerata già morta, come alcuni hanno ritenuto da 17 anni, di conseguenza si sarebbe potuto ad esempio espiantare gli organi, cosa assolutamente non praticabile in quanto Eluana Englaro non rientrava affatto nei criteri della morte cerebrale totale. Voglio ricordare che Science, nel 2006, ha pubblicato un articolo che ha molto interessato la comunità scientifica: la Risonanza Magnetica Funzionale ha mostrato l'attivazione di varie zone cerebrali, in situazioni cliniche come quella di Eluana Englaro, in corrispondenza con gli inviti da parte dei ricercatori ad immaginare di salire delle scale piuttosto che di giocare una partita di tennis, in maniera esattamente uguale a quanto evidenziato nel cervello dei "soggetti di controllo" sani. Comunque nulla altro aggiungerei in merito alla situazione clinica che ha caratterizzato la vita di Eluana Englaro.

Eppure si è ritenuta lecita la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione.

E’ stato ritenuto anche opportuno, oltre alla sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione, la somministrazione di sedativi. Delle due una: se Eluana non aveva alcuna percezione cosciente dell’ambiente esterno, così del dolore o di altro sentire, perché somministrare sedativi? O forse, visto che concretamente non si era del tutto certi del suo stato di completa incoscienza, si è preferito in via precauzionale somministrare sedativi? Il ricorso ai sedativi sarebbe stato motivato dagli spasmi muscolari per alterazione degli elettroliti, da sospensione dell’alimentazione e idratazione.

E nel dubbio sulle effettive capacità percettive di Eluana?

Una corretta interpretazione e attuazione del principio di precauzione, così giustamente propugnato in altri ambiti, avrebbe significato la non sospensione dei sostegni vitali mancando la certezza dell’assoluta assenza di coscienza. Parafrasando dalla civiltà giuridica la locuzione “in dubio pro reo”: “in dubio pro vita”.

L’alimentazione e l’idratazione sono terapie o cure?

Per i fautori della sospensione di alimentazione e idratazione, queste vengono considerate terapie e per tale motivo rifiutabili dal paziente, per autodeterminazione. Analizziamo senza pregiudizi e con argomentazioni logiche, almeno in linee generali il problema. Alimentazione e idratazione se inquadrabili come terapie devono curare qualcuno da qualcosa, ovvero da una patologia, da una disfunzione. Dovremmo arguire che, se terapie, alimentazione e idratazione avrebbero svolto su Eluana azione terapeutica. Quale sarebbe la malattia di Eluana che alimentazione e idratazione avrebbero tentato di curare? Quale malattia è curabile con alimentazione e idratazione così che, dopo la guarigione, si possa sospendere il trattamento in questione? La risposta, logica e non ideologica, è che alimentazione e idratazione non curano alcuna malattia, né tantomeno svolgevano azione terapeutica su Eluana. Se alimentazione e idratazione sono terapie, ne consegue che anche il neonato nutrito con latte artificiale è sottoposto a terapia, così il politraumatizzato che abbisogna del sondino o il paziente postoperatorio, o l’anziano che ha problemi di deglutizione, o chiunque necessita semplicemente di un aiuto per essere nutrito e dissetato. Non è il mezzo di somministrazione né la composizione dell’alimentazione e idratazione che cambiano la natura propria del sostegno vitale. Infatti il Comitato Nazionale per la Bioetica, nel parere su alimentazione e idratazione di pazienti in stato vegetativo, ricorda che “il problema bioetico centrale è costituito dallo stato di dipendenza dagli altri. Si tratta di persone che per sopravvivere necessitano delle stesse cose di cui necessita ogni essere umano (acqua, cibo, riscaldamento, pulizia, movimento), ma che non sono in grado di provvedervi autonomamente, avendo bisogno di essere aiutate, sostenute ed accudite in tutte le loro funzioni, anche le più elementari.”

Alimentazione e idratazione, allora, sono forme di sostegno vitale?

Alimentazione e idratazione sono forme di sostegno vitale delle quali l’uomo né ha fondamentale bisogno e per tale motivo non possono essere sospese in quanto essenziali nella “umana relazione di cura”, che non significa terapia né tantomeno accanimento terapeutico, bensì presa in carico, “presa in cura”. Sotto il profilo bioetico si realizza così l’alleanza terapeutica medico-paziente, che si basa appunto sulla “beneficialità nella fiducia”: la fiducia (di un paziente) che incontra una coscienza (del medico). Inoltre, e non secondariamente, simbolicamente dar da mangiare e da bere rappresenta la manifestazione più tangibile ed immediata della solidarietà umana.

Alimentazione e idratazione non possono essere mai sospese?

Si, possono essere sospese. Come già indicato dal Comitato nazionale per la Bioetica, “non sussistono invece dubbi sulla doverosità etica della sospensione della nutrizione nell’ipotesi in cui nell’imminenza della morte l'organismo non sia più in grado di assimilare le sostanze fornite: l’unico limite obiettivamente riconoscibile al dovere etico di nutrire la persona in SVP è la capacità di assimilazione dell’organismo (dunque la possibilità che l’atto raggiunga il fine proprio non essendovi risposta positiva al trattamento) o uno stato di intolleranza clinicamente rilevabile collegato all’ alimentazione”.

STORIA DI UN FETO PARTICOLARE

La storia di un feto che va incontro a una vita difficile ma alla fine diventa il primo presidente nero degli Stati Uniti, pubblicato su YouTube e che in meno di una settimana è stato visto 460 mila volte dagli internauti, che hanno anche scritto 1.400 commenti. Si vede lo zoom su un feto nel grembo materno durante un'ecografia. «Il futuro di questo bambino è una casa a pezzi - si legge in sovraimpressione -. Sarà abbandonato da suo padre. La sua mamma single avrà vita dura a crescerlo». L'immagine del feto lentamente scompare per lasciare spazio a una foto di Obama in trionfo dopo le elezioni: «Nonostante tutte le difficoltà a cui andrà incontro questo bambino diverrà il primo presidente afroamericano». La scena finale è un primo piano di Obama, con lo slogan: «Vita. Immagina il potenziale». I riferimenti sono espliciti: Obama è cresciuto senza il padre, che ha abbandonato la famiglia quando lui era piccolo. La madre, dopo un secondo matrimonio finito con il divorzio, lo ha cresciuto con l'aiuto dei nonni materni. «Il nostro messaggio è semplice: l'aborto è nemico della speranza» ha detto Brian Burch, direttore di CatholicVote.org.

giovedì 21 maggio 2009

Spagna: il disegno di legge sull'aborto è “contrario alla dignità”

Spagna: il disegno di legge sull'aborto è “contrario alla dignità” (dal sito: zenit.org)

Critiche ecclesiali alla proposta del Governo

BARCELLONA, mercoledì, 20 maggio 2009 (ZENIT.org).- Il disegno di legge sull'aborto approvato dal Consiglio dei Ministri spagnolo il 14 maggio scorso è “contrario alla dignità della persona umana e al diritto inviolabile del feto di nascere”, come segnala la Delegazione per la pastorale familiare dell'Arcivescovado di Barcellona in un comunicato inviato questo mercoledì a ZENIT.

Per la Delegazione, “la proposta della nuova legge sull'aborto contiene aspetti realmente preoccupanti”: non riconosce il diritto alla vita, non propone alcuna alternativa all'aborto e rinuncia a educare all'autentico senso della sessualità.

Oltre a questo, “interferisce e lede il diritto e il dovere dei genitori nei confronti dei figli” permettendo alle minorenni di abortire senza il consenso dei genitori, denuncia la nota.

“Non è possibile costruire il bene comune senza riconoscere e tutelare il diritto alla vita”, sottolinea il testo, aggiungendo che “spetta alla società e ai suoi dirigenti creare le condizioni necessarie perché non solo si rispetti, ma si ami la vita”.

La proposta del Governo spagnolo, continua la nota, “non offre alcuna risorsa che aiuti la madre ad accettare la maternità e la liberi dal trauma che implica decidere l'eliminazione della vita di chi deve nascere”.

“I politici non la possono giustificare dicendo che altre società la accettano”. “Non è mai lecito distruggere quello che è già un essere indipendente dalla madre”.

“Una legge sull'aborto non è segno di una società progressista – denuncia la nota –. Al contrario, è la conseguenza della rinuncia a vivere e a trasmettere il valore più importante della persona”.

Per la Delegazione per la pastorale familiare, “proporre l'aborto come soluzione per limitare la natalità è negare il fatto evidente dell'esistenza del figlio; è un attentato contro la vita con la scusa della legalità”.

Anche l'Arcivescovo di Barcellona, il Cardinale Lluís Martínez Sistach, ha dichiarato al canale televisivo catalano TV3 che il disegno di legge “va contro la Costituzione” e presuppone “la totale mancanza di difesa della vita”.

Quanto al riconoscimento del diritto di abortire alle minori di 16 anni, ha sottolineato che “gli adolescenti sono meno maturi di prima” e si è chiesto che posto resti alla patria potestà.

Per il Vescovo di Sigüenza-Guadalajara, il dibattito non dovrebbe concentrarsi sulla capacità di una minorenne di decidere di abortire, ma sul fatto che, se la proposta del Governo diventasse legge, “si potrà abortire senza alcun motivo, il che è gravissimo”.

Nel corso di una conferenza stampa sulla Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, monsignor José Sánchez ha sottolineato che, dal concepimento, “è già determinato ciò che sarà l'essere umano, è meraviglioso e lo dice la scienza”.

Allo stesso modo, ha affermato che “i Governi dovrebbero assicurarsi di fare politiche che difendano le donne incinte”.

Nell'ambito politico, il Partito Popolare, principale partito di opposizione, ha annunciato che ricorrerà contro il disegno di legge presso il Tribunale Costituzionale, e anche alcuni membri del Partito socialista, attualmente al potere, hanno criticato alcune parti del testo.

Da parte sua, il Ministro responsabile del progetto, Bibiana Aído, parlando alla radio SER si è riferita a un feto di 13 settimane come a “un essere vivo, chiaro, ma non possiamo parlare di essere umano perché questo non ha alcuna base scientifica”.

Dopo queste dichiarazioni, varie persone e pagine web hanno chiesto al Ministro di spiegare a che specie apparterrebbe questo essere vivo.


Quando c’è del bene anche nella pareti grigie…

Quando c’è del bene anche nella pareti grigie… (dal sito zenit.org)
di Carlo Bellieni*


ROMA, lunedì, 18 maggio 2009 (ZENIT.org).- Un difetto frequente è pensare che messaggi eticamente buoni debbano essere confezionati in carta patinata ed espressi da persone al di sopra di ogni critica, che magari usano un linguaggio ineccepibile e danno pubbliche professioni di religiosità.

E’ quanto abbiamo visto succedere in questi giorni nei confronti di Mel Gibson, criticato perché si separa dalla moglie, a quanto si sa: evidentemente non si accetta che chi predica bene sia un povero Cristo anche lui e non andiamo lontano se pensiamo che qualcuno non aspettava altro che trovare una pecca a questo combattente cristiano. Non è un caso isolato, ma è un tarlo da cui dobbiamo epurarci, perché invece ritroviamo proprio nei meandri più inaspettati delle belle sorprese. Vediamo ad esempio degli spunti nel cinema più semplice e non “colto” e nelle semplici canzonette di San Remo dei messaggi che ci stupiscono positivamente e che sono da additare ad esempio.

Il primo spunto viene dal semplice e allegro film di Giovanni e Giacomo “Il Cosmo sul Comò” in cui ritroviamo raccontata con semplicità la storia di una coppia che si affanna a ricercare con tutti i mezzi tecnici un figlio, per poi arrendersi agli insuccessi della medicina… e finire col miracolo di passare una sera tardi vicino ad un cassonetto dell’immondizia e trovare lì, nella tragedia dell’abbandono uno, anzi due bambini che il nostro protagonista salva da morte e adotta.

In realtà il finale è di una comicità estrema, e anche privo di moralismo (il personaggio oscilla tra il cinismo di prendere uno solo dei bambini, ma poi capisce che li deve amare e salvare entrambi): chi l’ha detto che le cose buone non devono destare allegria? San Tommaso Moro scriveva: “Dammi, o Signore, il senso dell'umorismo”. Già: proprio quando l’adozione sta passando ad essere una genitorialità di “seconda scelta” ecco che dei comici rimettono ordine là dove tanti teorici non ci sono riusciti.

Al contempo, dal festival di San Remo arriva la famosissima Arisa, con la cantatissima canzone “Sincerità” che ha sbancato i botteghini e che si permette di dire in una canzone d’amore la parola che dalle canzonette d’amore è stata semplicemente espunta negli ultimi anni: “Eternità”. Ed è la parola-chiave della canzone: la ripete dodici volte:

Sincerità

Un elemento imprescindibile

Per una relazione stabile

Che punti all’eternità…”

Certo, è una parola apparentemente inoffensiva, ma come non pensare che non sia finita lì per caso? Qualche “purista” potrebbe storcere il naso dato che non si parla di matrimonio e si parla di “fare e rifare l’amore”; la parola Eternità chiarisce tutto, rischiara tutto, illumina tutto.

Così come la canzone del rap più duro, “Vivi per miracolo” dei Gemelli Diversi, anch’essi prodigio di San remo 2009, che risulta una specie di preghiera, ma non una sciapa preghiera laica fatta di buoni sentimenti fashion, e lo capiamo dal fatto che dice qualcosa di “fuori posto”: parla di aborto col dolore e la riprovazione che vorremmo sentir più spesso:

Per ogni madre ancora troppo immatura

che ha avuto troppa paura

Per ogni vita finita in un sacco della spazzatura”

E la canzone si fa davvero preghiera:

Ce l’hai un attimo per me? Perché c’è troppo bisogno di aiuto, di aiuto, di aiuto..”

Ti imploro veglia e prega

Per chi è sul baratro però

guarda in basso e dice no” (un coraggioso no al suicidio –assistito o no-, così di moda oggi).

Certo anche qui si può obiettare che il testo è ambiguo, ma intanto certe parole sono state dette… e non sono parole inoffensive: “dai speranza”, “veglia e prega”. E l’ambiguità dolce è proprio il segno di una generazione che vuole pregare ma ha disimparato l’ABC, ha perso la dimestichezza a come si parla con Dio.

Ultimo, in ordine non di valore, è la serie tanto osteggiata da alcuni: “I Simpson”, personaggi squallidi, dal colorito giallo-squallore, che vivono in una città all’ombra di una centrale nucleare tossica, che si fanno dispetti e sgarberie, che scappano di fronte alle responsabilità… ma che tornano sempre indietro; indietro alla loro famiglia che, affogata nello squallore, non si sfascia mai, resta piena di amore e questo li salva.

I Simpson passano per essere un inno al dissesto, talvolta quasi un inno cinico, viste le scomposte reazioni dei personaggi: ma cosa vi aspettate che faccia la generazione di oggi affogata in un mare di perdita di senso, intossicata nell’animo e nel corpo se non diventare squallida e vile… salvo riprendersi sul punto estremo, grazie ad un’ancora che per grazia talora affiora: la famiglia Simpson quest’ancora l’ha trovata, resta aggregata, non si separa, non si sfascia.

La puntata-simbolo di questa ri-lettura (titolo inglese: “Don’t fear the roofer”, stagione 16) narra una storia meravigliosa… “alla Simpson”: Homer, il capo-famiglia non riesce ad aggiustare il tetto, se ne va di casa, arriva nel bar del quartiere e lì viene sbeffeggiato. Cambia bar disperato… e lì trova “Rio”, uno sconosciuto che si rivela come la persona ideale per lui: è un artigiano che aggiusta i tetti, e lo rincuora, gli offre da mangiare, scherza con lui, diventa in breve il suo migliore amico. E con lui la vita cambia, arriva l’allegria, le cose si aggiustano.

Il problema, paradosso del cartone animato, è che nessuno dei familiari e amici vede Rio; e nessuno crede che esista davvero. E Homer grida “Rio esiste: io l’ho visto!”, ma non gli credono (“Rio è una tua immaginazione!”), lo ricoverano, gli fanno l’elettroshock… finché Rio non appare di nuovo a tutti; e si capisce perché amici e parenti non lo vedevano: perché uno era cieco da un occhio, un altro aveva un camion che gli occupava la vista ecc… La conclusione è che “Rio” c’è: siamo noi che non lo vediamo. Insomma, è chiaro che “Rio” altri non è altri che… fate voi.

Credo che la chiave per scoprire una trasmissione (TV, radio, musica) davvero religiosa, tra tanto ciarpame, sia il seguente: trovare un segnale-chiave politicamente scorretto, “fuori posto”, piuttosto che tante parole affastellate su “generici problemi religiosi” (cfr . Mt 7,21). Ma cos’è “politicamente scorretto” oggi? La manina del feto che accarezza il dito del dr House (cui di recente abbiamo dedicato un libro), il neonato adottato invece di essere concepito in vitro, una famiglia che regge e non si sfascia tra lo squallore, “puntare all’Eternità” invece che il banale “senza di te non vivo”, l’immagine della donna che “abortisce perché si arrende”: questo è davvero politicamente scorretto. E ritrovarlo “fuori posto” (in una canzonetta, in un TG) non è casuale ed è molto più forte che un telefilm su un santo, trasmesso in orario protetto, ad un pubblico già preparato a ciò che vedrà. Perché in un’epoca di censura di tutto quello che è davvero religioso, questi segnali non sono messi per caso dai loro autori, che rischiano davvero per questo.

Trovare delle “figurine di santi” vicine a quelle dei calciatori in edicola è un bel “fuori posto”; vedere un bambino Down che sorride durante il TG è “fuori posto”, un calciatore che si fa il segno della croce quando entra in campo (anche se dopo farà tutti i fallaci del mondo e si riempirà la bocca di parolacce) è “fuori posto”; Mel Gibson che forse non è perfetto ma fa film sul vero amore è “fuori posto”. E proprio perché questi bei “fuori posto” ci suonano veri, capiamo che invece quello – cioè il quotidiano – è davvero il “loro posto”.

Probabilmente è anche da esempi come questi che deve ripartire un’educazione all’etica, per un pubblico che non vuole istruzioni per l’uso, ma immagini belle. Certo, spesso i termini che circondano queste immagini possono essere sgarbati, rudi, e volgari… come siamo un po’ tutti. Già, perché il cristianesimo non è una religione per persone buone (essere buoni è Grazia), ma per peccatori (cfr. Mt 9,9-13). Talvolta ce ne dimentichiamo.


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*Dirigente del Dipartimento Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Universitario "Le Scotte" di Siena e membro della Pontificia Accademia Pro Vita.

lunedì 13 aprile 2009

Con i Centri di Aiuto alla Vita salvati 100.000 bambini


Con i Centri di Aiuto alla Vita salvati 100.000 bambini

interessante articolo pubblicato sul sito di informazione: ZENIT.ORG

di Carlo Casini*

ROMA, domenica, 12 aprile 2009 (ZENIT.org).- La legge 194 prevede la possibilità (non l'obbligo) di una collaborazione mediante apposite convenzioni dei Consultori familiari con le associazioni di volontariato che hanno lo scopo di assistere le maternità in difficoltà sia prima che dopo la nascita. Questa opportunità non è stata utilizzata. Qualche convenzione è stata, invece, stipulata con i presidi ospedalieri dai Centri di aiuto alla vita con risultati significativi in termini di vite umane salvate.

E' doveroso inquadrare in modo corretto i Centri e servizi ai aiuto alla vita (CAV e SAV) collegati con il Movimento italiano per la vita. La loro attività è documentata annualmente con un rapporto redatto da un Centro di coordinamento di Padova, che raccoglie le schede (evidentemente anonime e di significato esclusivamente statistico e numerico) provenienti dai gruppi locali.

Esistono inoltre documentazioni più complete, l'ultima delle quali è stata pubblicata nel 2002 con il titolo "V Rapporto al Parlamento". Al Convegno nazionale dei CAV, svoltosi a Roma nel novembre 2007 è stata indicata la cifra di 85.000 bambini nati con l'aiuto dei CAV, a partire dal loro primo germinale sorgere nel 1975. Oggi sono più di centomila i bambini salvati dalla ivg.

Allora fu replicato alla tesi che giustificava l'aborto come aiuto alla donna con l'affermazione: "Le difficoltà non si superano sopprimendo la vita, ma superando insieme le difficoltà".

I CAV offrono assistenza alla donna, specialmente quando vi è un rischio di aborto, in termini di aiuto sanitario, legale, psicologico, economico, abitativo, e soprattutto con una amicizia costante e durevole.

Con il tempo l'attività dei CAV si è arricchita di nuovi servizi di carattere nazionale: particolarmente il "Progetto Gemma" e il "Telefono Verde". Il primo consiste nell'erogazione di una somma minima di 160 euro per 18 mesi tramite il CAV locale (che, ovviamente, vi aggiunge tutti gli aiuti necessari al singolo caso, nei limiti delle sue possibilità). Il singolo finanziamento è fornito da una famiglia, un gruppo, i dipendenti di un ufficio, singole persone in occasione di particolari eventi (specie matrimoni e battesimi), che segnalano al servizio nazionale, unico per tutta l'Italia, la loro disponibilità e che collega l'offerta a una delle richieste provenenti dai CAV.

Lo schema è quello delle adozioni a distanza di bambini poveri del terzo mondo. Infatti "Progetto Gemma" è denominato anche "adozione a distanza ravvicinata" e il suo slogan è: "Adotta una mamma, salva il suo bambino". Il numero verde (800813000) è anch'esso un unico servizio nazionale, funzionante 24 ore su 24, destinato a ricevere telefonate di donne nel tormento di una decisione che le angoscia, ma anche segnalazioni di amiche, parenti, vicini quando una prospettiva di aborto è già concreta e magari pianificata. Il telefono, oltre a cercare di risolvere direttamente i problemi, consiglia il contatto con il centro locale più vicino o comunque più capace di prendere in carico con competenza, umanità e professionalità la situazione presentata.

Al "Telefono verde" si aggiunge il servizio di "Telefono rosso" (06 3050077), al quale è già stato fatto cenno. L'esperienza dei CAV si è arricchita anche di una dimensione educativa e culturale, risultata particolarmente efficace anche in termini di prevenzione post-concezionale, realizzata particolarmente, oltre che con incontri formativi di vario genere, anche mediante la diffusione di opuscoli, video e radio-cassette, DVD. La videocassetta e il DVD dal titolo "La vita umana prima meraviglia", nei quali la parola "aborto" non è né scritta, né pronunciata, ma dove sono documentate la straordinaria bellezza e la stupefacente organizzazione della vita umana nascente, insomma, l'individualità umana del concepito, sono stati tradotti in sedici lingue.

Occorre collocare nella giusta luce l'attività dei CAV. Il sostegno alla donna incinta nella direzione della nascita non è certamente cosa nuova. Molteplici iniziative sono sempre pullulate in un popolo fortemente contrassegnato dall'umanesimo cristiano e hanno continuato a svilupparsi anche dopo l'entrata in vigore della legge 194, indipendentemente dall'organizzazione del Movimento per la vita.

Ma l'originalità dei CAV consiste nel proporre proprio quella alternativa specifica all'aborto che la legge 194 dice di desiderare, ma che non ha affatto strutturato, promosso e, tanto meno, realizzato.

Per questo l'esperienza dei CAV, a trent'anni dalla legge 194, può offrire indicazioni preziose per una rivisitazione del testo, specialmente della sua prima parte, che, a parole, dovrebbe disegnare anche una prevenzione post-concezionale dell'aborto. 100.000 bambini aiutati a nascere sono pochi rispetto alla terribile cifra di quasi 5.000.000 di aborti.

Tuttavia, il valore anche di una sola vita umana merita impegno, tanto più se esso, com'è nello stile dei CAV, si svolge accanto alla madre, insieme alla madre, per restituirle la libertà di non abortire e mantenerle quel coraggio e quella fiducia in se stessa, che sono segni caratteristici della giovinezza.

Se gruppi costituiti da poche persone, dotate di pochi, mezzi hanno potuto ottenere risultati così significativi è provato che assai più imponenti potrebbero essere i risultati se a servizio della vita fosse messa la forza dell'intera organizzazione statale con tutte le sue articolazioni.

Sono quattro le indicazioni che emergono dall'esperienza dei CAV. Tutte riguardano l'efficacia di una prevenzione post-concezionale.

- L'importanza di una educazione permanente volta a promuovere il rispetto della vita. Questa linea - che ha come suo primo caposaldo il riconoscimento della pienezza di uguale dignità di ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale - deve essere veicolata nei potenti moderni mezzi di comunicazione sociale, nei testi scolastici, in iniziative di vario genere promosse dallo Stato e dagli enti locali.

- L'efficacia di un aiuto economico, anche piccolo ma garantito, non effettuato indistintamente a pioggia, ma misurato sui bisogni di una situazione concreta e quindi affidato a centri e servizi pubblici o privati che possano decidere di volta in volta e accompagnare l'aiuto materiale con un'amicizia costante e durevole.

- L'efficacia della attribuzione ai consultori e ad eventuali altri controllati centri di aiuto alle gestanti di poteri di iniziativa, definendo una metodologia che non consiste esclusivamente nell'attesa passiva di una richiesta di consiglio e di aiuto, ma consenta di provocare - nelle forme più corrette e rispettose - l'incontro con la donna in difficoltà, anche sulla base di segnalazioni provenienti dall'ambiente in cui ella vive, o, meglio ancora, dallo stesso personale sanitario con cui la donna ha avuto contatti nel primo colloquio o per la fissazione dell'intervento.

- L'efficacia del volontariato, non sostitutivo dei compiti primari dello Stato riguardo alla protezione della vita e della maternità, ma dimostrativo di un operoso amore per la vita che è capace di suscitare risorse più persuasive di un colloquio burocratico.

In risposta a tante altre domande sulla legge 194, e questioni relative alla cultura della vita, Carlo Casini ha appena pubblicato il libro "A trent'anni dalla Legge 194 sull'interruzione volontaria della gravidanza" (Cantagalli, 160 pagine, 7,50 Euro).

* già magistrato di Cassazione e membro del Comitato Nazionale per la Bioetica. E' presidente del Movimento per la Vita italiano, membro della Pontificia Accademia per la Vita e docente presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma

domenica 29 marzo 2009

La Puglia vuole ridurre gli aborti, ma anche i medici obiettori

La Puglia vuole ridurre gli aborti, ma anche i medici obiettori (interessante articolo dal sito ZENIT.org)

Denuncia il Forum delle Associazioni Familiari

di Antonio Gaspari

BARI, mercoledì, 25 marzo 2009 (ZENIT.org).-

Il Forum delle Associazioni Familiari della Puglia (http://www.forumfamigliepuglia.org/comunicati.php?idarticolo=59) ha denunciato il tentativo di ridurre il personale sanitario e i medici obiettori contenuto nelle "Linee di indirizzo regionali sui consultori familiari", presentate il 18 marzo dalla Giunta regionale pugliese.

Secondo il Forum, il documento della Regione è contraddittorio perché, mentre intende ridurre il numero di interruzioni volontarie di gravidanza (IVG), propone di "integrare le piante organiche consultoriali carenti con medici ed ostetriche non obiettori, così come previsto dalla Regione, e di ridurre progressivamente la quota di medici obiettori ad oggi operanti in queste strutture".

"Come si fa a ridurre gli aborti aumentando i medici e le ostetriche non obiettori?" chiede il Forum.

In merito agli aborti, la Puglia detiene un triste primato, soprattutto per tasso di recidive e per incidenza nelle fasce d'età adolescenziali.

Se è meritorio l'intento di voler limitare le cause che portano all'interruzione volontaria di gravidanza, sostiene il Forum, "ridurre progressivamente la quota di Medici obiettori ad oggi operanti nelle strutture ‘provvedendo a sostituire immediatamente i Medici obiettori che impediscano l'applicazione della legge 194, la libera scelta contraccettiva della donna e l'utilizzo dei presidi farmacologici di prevenzione delle IVG' come previsto dalle linee di indirizzo è in contrasto con l'obiettivo indicato".

Considerato che l'aborto, chirurgico o medico che sia, non può che avvenire in ospedale e che proprio del consultorio è il compito preventivo pre- e post-concezionale, il Forum delle Associazioni Familiari si chiede come il medico obiettore possa essere considerato un ostacolo in tali circostanze.

"Tale pregiudizio, gravemente discriminatorio ed anticostituzionale, oltre che in contrasto con la lettera e lo spirito della legge 194 /78, è peraltro immotivato anche rispetto alla prescrizione della pillola del giorno dopo", dichiara.

Numerosi lavori scientifici dimostrano infatti che assicurare il libero accesso alla cosiddetta contraccezione d'emergenza, se ne incrementa l'impiego, non ha effetti sui tassi di gravidanza e di abortività.

Inoltre, se a ogni medico deve essere assicurato il diritto alla prescrizione medica secondo scienza e coscienza, è necessario attenersi al principio di precauzione nei casi di dubbio meccanismo d'azione del farmaco; ed è noto che la pillola del giorno dopo può agire anche con effetto antinidatorio se assunta in fase periovulatoria.

Il Forum lamenta anche che, malgrado l'attenzione dichiarata alla "libertà di scelta contraccettiva della donna", continui a non essere prevista nei consultori familiari la figura dell'insegnante della Regolazione naturale della fertilità, che risponderebbe anche alle istanze delle donne che intendono utilizzare questi metodi per la loro pianificazione familiare.

Il Forum si domanda come mai in Puglia non sia mai stato realizzato un sistema di monitoraggio delle cause che inducono le donne a richiedere l'IVG, né degli interventi preventivi alle IVG effettivamente realizzati, sia in relazione alle diverse realtà territoriali che in riferimento alla figura professionale preposta alla certificazione preliminare richiesta dalla legge 194. Per questo, chiede al Governo regionale di "approntare adeguati sistemi di rilevazione che certamente gioverebbero ad una reale politica preventiva del dramma dell'aborto".

In merito alla prevenzione dell'aborto e all'assistenza sociale per i danni psicologici provocati dalle IVG, il Forum delle Associazioni Familiari si chiede come mai nelle linee guida non siano previste figure professionali come il pedagogista o il mediatore familiare.

Il Forum deplora inoltre l'assoluta mancanza di collegamento con le diverse Associazioni Familiari, di volontariato o di promozione sociale, espressione di una società civile da tempo impegnata attivamente sul territorio in questi impegnativi campi d'azione. La loro collaborazione con i consultori familiari era prevista dallo stesso Piano Sanitario Regionale al fine di costruire un sistema di relazioni con le altre strutture e servizi preposti.

"Spiace notare - conclude il Forum - una resistenza pregiudiziale a costruire il benessere comune individuando nella società civile una reale protagonista dell'azione democratica, a detrimento della possibilità di realizzare un sistema di welfare locale veramente sussidiario e di rete".

MA LA 194 VA BENISSIMO, GUAI A CHI LA TOCCA!


MA LA 194 VA BENISSIMO, GUAI A CHI LA TOCCA!

AL DIPARTIMENTO MATERNO-INFANTILE - UNITÀ OPERATIVA ASS. CONSULTORIALE
DI ALBENGA
SI PUÒ ABORTIRE PER VIA “URGENTE” ANCHE SENZA GRAVIDANZA IN CORSO.

Aborto: è ora di fermare l’indegna campagna di frode nei confronti delle donne

Tante donne, in tre anni, si sono presentate al Centro di Aiuto alla
Vita-ingauno, chiedendo sostegno alla maternità e denunciando di aver
ottenuto dai Consultori pubblici il certificato di aborto, senza né
una visita ginecologica nè un esame ematochimico che accertasse la
gravidanza. I consultori, sulla base di appositi regolamenti o
convenzioni, collaborino con i Centri di Aiuto alla Vita che operano
sul territorio locale per aiutare la maternità difficile durante la
gravidanza e dopo la nascita

“Ad Albenga, anche se non sei incinta, puoi abortire. Si, ad Albenga,
anche senza una gravidanza in corso certificata, le Istituzioni
dell’ASL savonese, preposte alla tutela della maternità, ti “aiutano”
per legge ad abortire. Basta fare in fretta e andarsene quanto prima
fuori dal Consultorio familiare pubblico… e ti riconoscono pure la
clausola dell’urgenza, in appena soli cinque minuti. Non volevamo
crederci, ma, dopo gli oltre dieci casi di donne che, in tre anni, si
sono presentati al Centro Aiuto alla Vita-ingauno, chiedendo sostegno
alla maternità e denunciando di aver ottenuto il certificato di
aborto, senza né una visita ginecologica nè un esame ematochimico che
accertasse la gravidanza, abbiamo voluto mettere alla prova gli
operatori sanitari del Dipartimento materno-infantile - Unità
operativa Ass. Consultoriale, diretto dalla Dott.ssa Paola Pregliasco.
Ad una donna, nostra complice, che si è presentata quindici giorni fa
al Consultorio familiare Asl di Albenga, è stato rilasciato un
certificato, che costituisce per la donna “titolo per il ricovero
urgente e non dilazionabile”, firmato dal Ginecologo Dott. Renzo
Contin e timbrato “Consultorio Familiare”, che attesta quanto segue:
“accertato lo stato di gravidanza ed espletate le procedure previste
dal 2° comma, art. 5 della legge 194/78, riscontrata l’esistenza delle
condizioni di cui al 3° comma dello stesso articolo, dichiara urgente
l’intervento per cui la richiedente può presentarsi immediatamente in
una delle sedi autorizzate” per effettuare l’ivg. Peccato che la donna
in questione, in realtà, in quella giornata non fosse neppure
incinta, come dimostrano i referti degli esami delle urine in suo
possesso e, per aver solo dichiarato di essere alla 10a settimana e di
essere in condizioni economiche disagiate, ha ottenuto un certificato
attestante l'urgenza, quando il medico del Consultorio familiare
pubblico non ha neppure verificato l'esistenza della gravidanza e
neppure ha riscontrato le condizioni tali da rendere urgente
l'intervento di ivg”. Con queste parole Eraldo Ciangherotti,
Presidente della Federvita Liguria e del Centro Aiuto Vita-ingauno,
denuncia la mancata applicazione della legge 194/78 e il falso in atto
pubblico commessi al Consultorio Familiare ASL di Albenga,
Dipartimento materno-infantile, nell’ autorizzare una I.V.G. su
gravidanza inesistente e on accertata.
“Basterebbe poco per una reale tutela sociale della maternità -
continua Ciangherotti-, basterebbe già solo un protocollo di intesa
tra ASL, Comuni e Centri di Aiuto alla Vita, per cominciare ad aiutare
le donne che, di fronte ad una gravidanza inattesa e in condizioni
economiche disagiate, si trovano in circostanze talvolta
psicologicamente rilevanti. Si preferisce invece, a livello delle
Istituzioni, abbandonare la donna alla sua condizione disagiata, non
darle nemmeno la possibilità di considerare seriamente la sua
gravidanza ed eventualmente di scegliere liberamente. Si fa prima ad
eliminare il concepito, piuttosto che tentare di costruire un progetto
a sostegno della madre. I consultori pubblici, istituiti ai sensi
dell'articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, di
fatto disattendono la legge 194/78, perché non contribuiscono a far
superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione
della gravidanza. I consultori, sulla base di appositi regolamenti o
convenzioni, almeno si avvalgano, per i fini previsti dalla legge,
della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e
di associazioni del volontariato, come i Centri di Aiuto alla Vita che
operano sul territorio locale e che possono anche aiutare la maternità
difficile durante la gravidanza e dopo la nascita”.
“Eppure la legge 194/78 - continua Ginetta Perrone, Vicepresidente del
CAV-ingauno - in materia di aborto, parla chiaro. Tale legge, così
osannata da certa cultura femminista come la migliore legge attuata a
favore della donna, si è rivelata ancora una volta un enorme
boomerang, altro che una conquista sociale. Di fatto è una legge ad
hoc, non per la tutela della maternità ma per la frode delle donne.
Si, anche ad Albenga. Infatti la Legge 194/78 di fatto, anche nel
nostro territorio locale, a trent’anni dalla sua promulgazione, non
tutela né la maternità della donna, né il nascituro. Il Dipartimento
materno-infantile- Unità operativa Ass. Consultoriale albenganese
aiuta la donna a rimuovere le cause della scelta di abortire? Vi sono
risorse economiche da parte degli Enti locali che possano essere
offerte ad una donna con una gravidanza indesiderata? La risposta è
negativa, in entrambi i casi. Anche se la legge parla chiaro, di fatto
le Istituzioni pubbliche (Asl, Comuni e Regione Liguria) applicano il
protocollo operativo più rapido, per eliminare il concepito e
derubricare il compito istituzionale di tutelare la salute della
donna. Di tutta la provincia di Savona, solo il Comune di Loano ad
oggi ha inteso promuovere la maternità disagiata, investendo risorse
economiche in sinergia con i volontari del Centro Aiuto Vita ingauno.
Numerose donne, arrivate da noi negli ultimi tre anni, si erano
rivolte al consultorio familiare pubblico riferendo al medico di
essere incinta e avendo accusato “circostanze per le quali la
prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità era
incompatibile con le proprie condizioni economiche”. È bastato un
semplicissimo disagio economico o addirittura il risultato di un
semplice test di gravidanza acquistato in farmacia, per ottenere il
certificato di I.V.G., ai sensi dell’art.4 della legge 194/78, senza
neppure una visita ginecologica di accertamento. In ambulatorio
constatata verbalmente la gravidanza in corso si rilascia un
certificato, persino urgente, a mò di bancomat aperto 24 ore su 24,
senza alcun tentativo per scongiurare l’aborto. Non serve neppure
esibire un test delle B-Hcg su siero o su urine. Basta dire di
“sentirsi incinta” o di essere positivi ad un test di gravidanza
domiciliare e il certificato è assicurato, poco importa se è un falso
in atto pubblico”.
“La cosa deprimente per le donne- conclude Ciangherotti- è stato
constatare che, nella realtà dei fatti, è disattesa la legge proprio
laddove si garantisce che “il consultorio e la struttura
socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti
medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la
richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall'incidenza
delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della
gestante, di esaminare con la donna le possibili soluzioni dei
problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la
porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado
di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere
ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti
gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”. Ecco
perché non possiamo tacere l’accaduto, perché le donne non meritano
questo disinteresse e questa indifferenza dalle Istituzioni. Infine
che la gravidanza rientri nei primi novanta giorni o oltre a nessuno
interessa verificarlo, neppure se per legge è obbligatorio. Non
interessa neppure al ginecologo del Consultorio Familiare che
autorizza l’ivg per via “urgente”.


"Harvard": Sui profilattici il Papa ha ragione

“Sui profilattici il Papa ha ragione”

Lo dice il Direttore di un progetto di prevenzione dell’AIDS di Harvard

In una intervista pubblicata da “il Sussidiario” il dott. Edward Green, Direttore dell'AIDS Prevention Research Project della Harvard School of Public Health and Center for Population and Development Studies, ha sostenuto che in merito ai profilattici “il Papa ha ragione”.

“Sono un liberal sui temi sociali e per me è difficile ammetterlo, ma il Papa ha davvero ragione”, ha spiegato il dott. Green.

“Le prove che abbiamo – ha precisato – dimostrano che, in Africa, i preservativi non funzionano come intervento per ridurre il tasso di infezione da HIV. […] Quello che si riscontra in realtà è una relazione tra un più largo uso di preservativi e un maggiore tasso di infezione”.

Il dott Green ha poi spiegato: “Non conosciamo tutte le cause di questo fenomeno, ma parte di esso è dovuto a ciò che chiamiamo compensazione del rischio. Significa che chi usa i preservativi è convinto che siano più efficaci di quanto realmente sono, finendo così per assumere maggiori rischi sessuali”.

“Un altro fatto che è ampiamente trascurato – ha aggiunto – è che i preservativi sono usati in caso di sesso occasionale o a pagamento, ma non sono usati tra persone sposate o con il partner abituale. Perciò, una conseguenza dell’incremento nell’uso dei preservativi può essere un aumento del sesso occasionale”.
se vi interessa segue l'intervista!

AFRICA/ 1. Green (Harvard): io, scienziato laico, sto con il Papa

lunedì 23 marzo 2009

Il dott. Edward Green è il Direttore dell'AIDS Prevention Research Project della Harvard School of Public Health and Center for Population and Development Studies. Una voce autorevole in campo medico e con una grande esperienza nella lotta all'AIDS nei Paesi in via di sviluppo. Ilsussidiario.net lo ha intervistato in esclusiva.

Le dichiarazioni del Papa su AIDS e uso dei preservativi è al centro di un aspro dibattito e molti, da Kouchner a Zapatero, inclusa la UE, hanno definito la sua posizione come astratta e alla fine anche pericolosa. Qual è la sua opinione?

Io sono un liberal sui temi sociali e per me è difficile ammetterlo, ma il Papa ha davvero ragione. Le prove che abbiamo dimostrano che, in Africa, i preservativi non funzionano come intervento per ridurre il tasso di infezione da HIV. Hanno funzionato, per esempio, in Tailandia e Cambogia che hanno dinamiche epidemiologiche molto diverse.

In una recente intervista a National Review Online, lei ha detto che non vi è alcuna consistente relazione tra l’uso del preservativo e un più basso tasso di infezione da HIV. Può approfondire questa affermazione?

Quello che si riscontra in realtà è una relazione tra un più largo uso di preservativi e un maggiore tasso di infezione. Non conosciamo tutte le cause di questo fenomeno, ma parte di esso è dovuto a ciò che chiamiamo compensazione del rischio. Significa che chi usa i preservativi è convinto che siano più efficaci di quanto realmente sono, finendo così per assumere maggiori rischi sessuali. Un altro fatto che è ampiamente trascurato è che i preservativi sono usati in caso di sesso occasionale o a pagamento, ma non sono usati tra persone sposate o con il partner abituale. Perciò, una conseguenza dell’incremento nell’uso dei preservativi può essere un aumento del sesso occasionale.

Quindi, per quanto sorprendente, è provato che un maggior utilizzo di preservativi è collegato ad un più alto tasso di infezione?

Si è cominciato a notare qualche anno fa che, in Africa, i paesi con maggiore disponibilità di preservativi e tassi superiori di loro utilizzo avevano anche il più alto tasso di infezione da HIV. Questo non prova una relazione causale, ma ci avrebbe dovuto portare qualche anno fa a valutare in modo più critico i programmi relativi all’utilizzo del preservativo.

Oltre il caso dell’Uganda, vi sono altre prove che il modello cosiddetto ABC (Abstinence, Be faithful, Condom) possa funzionare?

Stiamo osservando il declino dell’HIV in almeno 8 o 9 paesi africani. In tutti i casi, la proporzione di uomini e donne che dichiarano rapporti sessuali con molti partner è diminuito qualche anno prima che noi riscontrassimo questo declino. Tuttavia, molti programmi contro l’AIDS mettono l’accento su preservativi, controlli e farmaci: questo ampio cambiamento nel comportamento è quindi avvenuto malgrado questi programmi, che hanno posto l’enfasi su elementi errati (almeno per l’Africa). Sono contento di riferire che i due paesi con il più alto tasso di infezione, Swaziland e Botswana, hanno lanciato campagne mirate a scoraggiare i rapporti sessuali con partner multipli e contemporanei.

L’astinenza tra i ragazzi è un altro fattore, ovviamente. Se le persone cominciano a fare sesso in un’età più adulta avranno meno partner sessuali durante la loro vita, diminuendo così le probabilità di contrarre infezioni da HIV.

Quindi, nella lotta contro l’AIDS la riduzione del numero dei partner sessuali è uno dei fattori più importanti.

Come ho già detto, è la sfida più importante in questa battaglia.

Un’ultima domanda. Nel modello ABC, A e B non sono così economicamente rilevanti come C, che ha alle spalle una forte industria. È improprio dire che non si tratta, quindi, solo di una questione culturale e sanitaria, ma anche economica?

Dipende da cosa intende per aspetti economici. Se consideriamo i programmi ABC, PEPFAR (programma governativo di lotta contro l’AIDS varato nel 2003 da Bush) è l’unico grande donatore che ha immesso reali finanziamenti in A e B e, forse purtroppo, la maggior parte dei soldi, e comunque dell’enfasi, sull’astinenza. Il fattore B è il più importante, con l’astinenza al secondo posto, secondo la mia opinione e in accordo con le evidenze da me riscontrate.

Se invece il punto è se la povertà dà impulso all’AIDS, anche in questo caso l’Africa è diversa dal resto del mondo, perché in Africa il tasso di infezione è più alto presso i ceti più agiati e più istruiti. Perciò il miglioramento della situazione economica dei paesi africani non porterà una diminuzione delle infezioni. Questa evidentemente non è una buona ragione per abbandonare a se stesse le economie africane.

sabato 21 marzo 2009

CIO' CHE LA CHIESA DICE E NON DICE SUL PRESERVATIVO

Ciò che la Chiesa dice e non dice sul preservativo(link all'articolo originale)

Il presidente dei medici cattolici spiega il dibattito

BARCELLONA, giovedì, 19 marzo 2009 (ZENIT.org).- Leggendo i giornali si ha l'impressione che la Chiesa dica che se una persona ha rapporti sessuali con una prostituta non deve usare il preservativo, riconosce il presidente dell'associazione dei medici cattolici del mondo.

José María Simón Castellví illustra con questo esempio la superficialità con cui alcuni mezzi di comunicazione hanno informato sulle parole pronunciate da Benedetto XVI questo martedì a bordo dell'aereo che lo stava portando in Camerun, quando ha spiegato che il preservativo non è la soluzione all'Aids.

“La Chiesa difende la fedeltà, l'astinenza e la monogamia come armi migliori”, indica il presidente della Federazione Internazionale dei Medici Cattolici (FIAMC) in una dichiarazione rilasciata a ZENIT.

I media e anche alcuni rappresentanti politici hanno tuttavia accusato la Chiesa di promuovere l'Aids in Africa. Ovviamente, osserva il medico, la Chiesa non sta dicendo che si possono avere relazioni sessuali promiscue di ogni tipo a patto di non utilizzare il preservativo.

Il dottor Simón spiega che per comprendere ciò che la Chiesa dice sul preservativo bisogna capire cos'è l'amore, come ha spiegato lo stesso Papa ai giornalisti, anche se questo passaggio della conversazione è stato “censurato” dalla maggior parte dei mezzi di comunicazione.

“Il preservativo è una barriera, ma una barriera con limiti che molte volte vengono aggirati. Soprattutto tra i giovani può essere controproducente dal punto di vista della trasmissione del virus”, ha aggiunto.

“Noi medici cattolici siamo a favore della conoscenza scientifica – spiega –. Non diciamo le cose solo per motivi ideologici. Come ammettiamo che un adulterio di pensiero non trasmette alcun virus ma è qualcosa di negativo, dobbiamo dire che i preservativi hanno i loro pericoli. Sono barriere limitate”.

Il medico illustra la posizione della Chiesa citando un caso reale, raccolto dai media informativi.

A Yaoundé, in Camerun, si è celebrata nel 1993 la VII Riunione Internazionale sull'Aids con esperti medici e sanitari. Hanno partecipato circa trecento congressisti e al termine è stato distribuito un questionario perché si indicasse, tra le altre cose, se si aveva avuto rapporti sessuali nei tre giorni in cui era durata la riunione con persone con cui non si facesse coppia fissa.

Degli interpellati, il 28% rispose di sì, e un terzo di questi disse di non aver preso alcuna “precauzione” per evitare contagi.

“Se ciò avviene tra persone 'coscienziose', cosa accadrà tra la gente 'normale'?”, si è chiesto Simón Castellví.

...aiuto

Carissimi amici miei,
vi scrivo perchè ho bisogno del vostro aiuto o meglio delle vostre preghiere... non vi sto a raccontare tutta la storia per chè ci vorrebbe troppo tempo vi dico però che c'è la sorella di una mia amica che è in cinta di 3 mesi anzi quasi 4 e ha deciso di abortire...... A questa notizia sono rimasto impietrito solo la preghiera potrà cambiare la cosa anche perchè lei ha già deciso e avrebbe trovato anche chi glielo farebbe nonostante i quasi 4 mesi di gravidanza... Vi prego fermiamo questo omicidio
Grazie di cuore e se conoscete altri indirizzi a cui mandare questa mail giratela pure
mail firmata

Testimonianza Uganda: amare una figlia frutto di violenza

Testimonianza Uganda: amare una figlia frutto di violenza



La sera del mercoledi’ delle ceneri ero letteralmente sfinito: avevo celebrato tre sante Messe e imposto le ceneri sulla testa a qualche migliaio di persone. Anche se non e’ festa di precetto, tanta gente, nell’intervallo del pranzo o alla sera subito dopo il lavoro, viene alla santa Messa per ricevere le ceneri. Portano anche i bambini e guai a non mettere le ceneri anche a loro.
Molti poi, oltre a ricevere la cenere sul capo, la vogliono pure in mano o in un pezzetto di carta o in un fazzoletto, cosi’ da poterla portare a casa per coloro che non hanno potuto venire in chiesa. E’ un atto penitenziale e qualche volta mi viene persino il dubbio che ci sia un po’ di fanatismo, ma vedendo la devozione che ci mettono, debbo dire che e’ fede ed e’ un modo per esprimere pentimento del proprio essere peccatori. Tutto quanto detto non c’entra nulla con la ragione per cui le scrivo, ma in qualche modo fa da contorno. Stavo per andare a letto ed entrai nel mio ufficio solo per assicurarmi che le porte anteriori fossero chiuse. Notai sul mio tavolo una lettera che non avevo ancora aperto. La aprii e lessi.

Eccoti il contenuto:
Caro Padre, sono una ragazza di 14 anni, nativa di Gulu, Layibi. Nel 1993 mia madre era una studentessa del terzo anno di scuola superiore presso il collegio del Sacro Cuore di Gulu. Mentre era in vacanza i ribelli del Lra (
Lord’s Resistance Army, Esercito di resistenza del Signore: gruppo di ribelli ugandesi, Ndr)
arrivarono al suo villaggio, uccisero i suoi genitori, violentarono mia mamma e sono nata io. Oltre ad aver concepito me, mia mamma ha pure ricevuto il virus dell’Aids e ora e’ sieropositiva Hiv. Io invece sono nata pulita.
Non posso sapere chi puo’ essere stato mio padre, ma la mamma si’: mi ha fatta nascere, mi ha cresciuta e pure mandata a scuola. Per pagare la mia scuola elementare ha lavorato cucendo e ha avuto molta cura di me, pero’ ora non riesce a guadagnare soldi sufficienti per la scuola superiore. Ho saputo che tu aiuti gli orfani e hai una scuola ove c’e’ molta disciplina. Mi potresti prendere e aiutare a pagare
la retta? Io voglio studiare per poter aiutare e aver cura di mia mamma che sta diventando sempre piu’ debole. Spero che tu consideri questa mia domanda e io preghero’ per te perche’ Dio ti benedica e assista ad aiutare coloro che hanno bisogno.
Maria Goretti Anena

Dopo aver letto la lettera, sono andato a letto ma non sono riuscito a dormire. Ero disturbato dentro di me da un misto di gioia, di rabbia, di soddisfazione e di riconoscenza verso Dio che sa trarre atti eroici dalle persone semplici e insignificanti come possono essere queste nostre ragazze appena cristianizzate.
Perche’ la rabbia ? Perche’ un esempio come questo dovrebbe far ammutolire quegli spacciatori di civilta’ fasulla che abbiamo nel mondo progredito pronto a legiferare contro il diritto alla vita.
Come e’ andata a finire questa storia? Al mattino mi sono alzato; sono andato alla scuola; mi sono assicurato che il direttore mi trovasse un posto per inserire questa ragazza (solo la mattina precedente gli avevo promesso che non avrei portato alcun nuovo studente). E il direttore mi disse che dovremo farla dormire per terra, perche’ anche i letti a tre piani sono tutti occupati. Se la ragazza accetta, la prendiamo. Chiamai la ragazza; le dissi di venire con la madre e vennero il giorno dopo. Feci un po’ di domande trabocchetto per assicurarmi che non mi avessero detto bugie e le proposi di dormire per terra su un materasso di gomma piuma. Si inginocchio’ davanti a me e mi disse: ora sono contenta perche’ so di avere un papa’ anch’io! La madre mi ringrazio’ e mi disse: «Padre, io finche’ posso continuero’ a lavorare e contribuiro’ per le spese della mia figlia». Le chiesi pure: perche’ hai dato il nome di Maria Goretti a tua figlia?
Rispose che era stata la piccola a volere quel nome quando era in terza elementare: il catechista racconto’ la storia di Maria Goretti e lei la scelse come nome e santa protettrice.
Qui alla scuola abbiamo 10 ragazze che negli anni novanta furono rapite dai ribelli alla scuola di Aboke; passarono 8 anni come mogli schiave dei ribelli; quando fuggirono scapparono tutte coi loro figli e vennero da me a chiedermi se le accettavo alla scuola.
Accettai le ragazze alla scuola e i figli furono lasciati in varie famiglie e ora pure loro vanno a scuola col nostro aiuto.
Scusate se ho disturbato, ma ho pensato che forse potreste far sapere che esistono ragazze che hanno il coraggio di tenersi e amare il frutto della violenza. Chissa’ che non serva!
padre John Scalabrini

Avvenire 14.3.2009