domenica 25 ottobre 2009
Su RU486 e kit eutanasico: diritto dei farmacisti all’obiezione di coscienza
Intevenendo all'incontro in svolgimento presso la Casa Bonus Pastor di Roma sul tema: “L’obiezione di coscienza del farmacista, tra diritto e dovere”, il presule ha affermato che tale questione riguarda oggi sia “taluni farmaci abortivi (come la RU486, per i farmacisti ospedalieri) o potenzialmente abortivi, quale in concreto la cosiddetta pillola del giorno dopo”, sia “taluni sviluppi (o meglio involuzioni) che si profilano in materia di fine vita, considerato che in alcuni paesi europei, come ad esempio in Belgio, risulta già in vendita nelle farmacie un kit eutanasico”.
Dalla metà di aprile del 2005, in Belgio, dietro presentazione di una prescrizione dettagliata, i medici di base possono acquistare presso le farmacie, al prezzo di 60 euro, un “kit per l’eutanasia” contenente tre dosi di un potente barbiturico, un paralizzante e qualche dose di sonnifero.
Nel 2008, stando ai dati presentati dalla Commissione federale di controllo e di valutazione, sono state registrate 705 dichiarazioni di eutanasia. Dal settembre 2002 in Belgio una legge stabilisce, infatti, la non punibilità del medico che pratichi il suicidio assistito.
In Italia, mentre in ambito sanitario l’obiezione di coscienza è prevista dalla legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza e dalla legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, per quanto riguarda la vendita dei farmaci essa non è prevista né dalla legge né dal codice etico dei farmacisti.
Riguardo la cosiddetta “pillola del giorno dopo”, prodotta in Italia con il nome commerciale di Norlevo e qualificata come “contraccettivo d’emergenza”, il presule ha ricordato che “in base alle evidenze scientifiche disponibili non si può escludere la concreta possibilità di un’azione post-fertilizzativa del farmaco stesso nelle ipotesi in cui, essendosi già verificata la fecondazione dell’ovulo e quindi la formazione dell’embrione, viene impedito all’embrione stesso di iniziare l’impianto nella parete uterina, con evidente effetto abortivo”.
A tal proposito, citando la prolusione del Cardinale Angelo Bagnasco al Consiglio permanente del settembre scorso, ha parlato del “rischio di una ulteriore banalizzazione del valore della vita”, ed ha sottolineato l'incoerenza di una legge 194 che nega ai farmacisti un diritto invece assicurato al personale sanitario.
Al contrario, ha sottolineato mons. Crociata, proprio i farmacisti sono chiamati a dare in questo ambito “una chiara testimonianza”, in quanto - come ha affermato Benedetto XVI parlando nell'ottobre del 2007 ai partecipanti al 25° Congresso internazionale dei farmacisti cattolici - essi rappresentano gli “intermediari fra il medico e il paziente” e svolgono “un ruolo educativo verso i pazienti per un uso corretto dell’assunzione dei farmaci e soprattutto per far conoscere le implicazioni etiche dell’utilizzazione di alcuni farmaci”.
“Per il farmacista cattolico, aderire all’insegnamento della Chiesa sul rispetto della vita e della dignità della persona umana, che è di natura etica e morale, rappresenta anzitutto un dovere, sicuramente difficile da adempiere in concreto ma al quale non può rinunciare”, ha ribadito il Segretario generale della CEI.
“Bisogna perciò, come singoli farmacisti e come associazione, attingere al patrimonio morale e agli insegnamenti della Chiesa e coordinarsi con l’azione pastorale che essa esercita a tutela della vita e a servizio dei malati”, ha detto qualificando poi come “significativa e lodevole” la scelta dell'UCFI di firmare il manifesto “Liberi per Vivere” promosso dal’Associazione Scienza & Vita.
“D’altra parte – ha aggiunto in seguito –, la riflessione ecclesiale che la Chiesa che è in Italia sta portando avanti sul tema dell’educazione rappresenta anche la via per un rilancio culturale della vostra professione, che spesso rischia di essere percepita e regolamentata come una pura attività commerciale, svuotata della sua dignità ed esposta a logiche economiche di tipo unicamente mercantile”.
Da questo punto di vista, ha precisato mons. Crociata, “il diritto-dovere all’obiezione di coscienza non riguarda solo i farmacisti cattolici ma tutti i farmacisti”, perché “educare le coscienze […] è oggi una priorità per il bene comune e l’interesse di tutti e una missione alta e certamente impegnativa”.
“Desidero quindi esortare voi tutti ad essere testimoni coraggiosi nell’esercizio della professione del valore inalienabile della vita umana, soprattutto quando è più debole e indifesa”, ha concluso infine.
Dieci buone ragioni contrarie all’aborto chimico. Decalogo contro la pillola RU486
La questione della vita è al centro della Dottrina sociale della Chiesa, come ha chiaramente indicato Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate.
E’ al centro perché riguarda in modo radicale la dignità della persona e perché da come si affronta il tema del rispetto della vita umana dipendono tutte le altre questioni sociali. Su cosa si costruirà la vita comunitaria se la nostra coscienza è «ormai incapace di conoscere l’umano?» (Caritas in veritate n. 75) e se cediamo all’«assolutismo della tecnica».
L’Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa propone un Decalogo contro la pillola RU486, che considera espressione di una cultura disgregativa, che distrugge la passione per la vita e colpisce fin nelle origini il significato dello stare insieme.
di Monsignor Giampaolo Crepaldi
Presidente dell’Osservatorio
* * *
1. Un aborto è sempre un aborto. La modalità – chimica o chirurgica – con cui si realizza non cambia la sua natura di “delitto abominevole”, poiché non varia la volontarietà di provocare la eliminazione di un essere umano innocente.
2. L’ aborto chimico non è meno pericoloso per la salute della donna. Le notizie accertate di 29 morti riferibili direttamente all’uso dell’Ru 486 sono un dato che mostra come questa metodica sia dieci volte più pericolosa di quella chirurgica per la salute della donna. Ovviamente, entrambe sono ugualmente letali per la vita del concepito.
3. Sembra una medicina, ma è solo un veleno. Il mifepristone, chiamato Ru486 dall’industria farmaceutica Roussel-Uclaf che la studiò e la produce, compare in letteratura nel 1982 ed è un ormone steroideo sintetico che va a sostituirsi al progesterone, l’ormone che sostiene la gravidanza, rendendolo inefficace: di conseguenza l’embrione muore o, se sopravvive, il più delle volte ha gravi danni nello sviluppo e gravi handicap: questo è il motivo per cui, in Francia, le donne firmano un modulo che le impegna a ricorrere all’aborto chirurgico se la “pillola” non dovesse fare effetto completamente. L’associazione di mifepristone e prostaglandine non ha alcuna azione terapeutica, non cura nessuna malattia, non svolge alcuna azione benefica; ha un solo scopo: eliminare tramite la sua morte un embrione umano.
4. La “pillola” per abortire banalizza l’aborto. Utilizzare un prodotto chimico, per giunta catalogato come farmaco, induce due drammatici errori: ritenere che l’aborto sia un cosa facile e che rientri nell’ambito delle terapie mediche. Che non sia facile lo dimostrano le esperienze raccontate dalle donne, le tante sofferenze che restano sconosciute e possono manifestarsi anche dopo molti anni. Ed è una grave menzogna indurre a pensare che la gravidanza sia una “malattia” da potersi “curare”, ovvero da eliminare, attraverso una opzione medica. Una gravidanza è la presenza di un nuovo essere umano, non è un mal di testa o un raffreddore: non si trattano allo stesso modo!
5. L’ RU486 costringe la donna alla solitudine. Il mifepristone viene consegnato alla donna che lo assume personalmente; dopo qualche ora insorgono dolori ed emorragia che devono essere gestiti e monitorati personalmente, da riferirsi ad una successiva visita, durante la quale viene prescritta una seconda “pillola” che aiuta la definitiva espulsione dell’embrione. Il periodo di tempo in cui avviene il tutto può andare da tre a quindici giorni, con grande variabilità individuale dei sintomi dolorosi, per i quali comunque possono essere prescritti farmaci antidolorifici, sempre da autosomministrarsi. Impensabile che tutto il percorso sia realizzabile in ospedale, visti quali sarebbero i costi altissimi di un ricovero così prolungato: e questo pone la donna totalmente sola nella gestione dell’aborto, come avveniva e ancora avviene nell’aborto “clandestino”.
6. C’è poco tempo per una adeguata riflessione. Le pillole vengono consegnate alle donne in tempi necessariamente brevi, dovendosi assumere entro i primi 49 giorni della gravidanza per essere efficaci, non consentendo una articolata riflessione sulla decisione definitiva. La legge 194/78, che in Italia regolamenta l’aborto volontario, prevede che sia lasciato un tempo adeguato alla valutazione delle situazioni, delle possibili alternative e aiuti che la donna con gravidanza difficile può ricevere. L’RU 486 mette fretta, accorcia i tempi, appare anche nella sua tempistica come una “soluzione” rapida, quasi un automatismo: sono incinta – non lo voglio – prendo la pillola.
7. Svolge un’azione diseducativa. Quale può essere l’esito educativo di una mentalità di banalizzazione delle azioni, se non la deresponsabilizzazione? Se è possibile tecnicamente, non censurabile eticamente, accettato con disinvoltura e addirittura chiamato “progresso” e “conquista di civiltà” il fatto che, di fronte ad una difficoltà nella gravidanza, il modo più semplice per risolvere i problemi sia quello di “prendere una pastiglia”, come è possibile educare alla responsabilità?
8. Rappresenta una ideologia. L’auspicio, neppure troppo nascosto, è che questa modalità chimica diventi la normale via per abortire e che addirittura possa sostituirsi alla contraccezione, così da potersi ricorrere ad essa abitualmente. La mentalità di ricorso all’aborto tutte le volte in cui la contraccezione fallisce è uno degli effetti collaterali più pericolosi del cosiddetto “controllo delle nascite”. In un prossimo futuro, se davvero fosse utilizzata l’RU486 al primo insorgere delle gravidanze, l’aborto diventerebbe, ancor più di oggi, il mezzo di pianificazione familiare consueto, con una gravissima perdita di percezione della dignità della vita umana.
9. Non essendo un farmaco, non si può imporre ai medici di prescriverla.Spesso si associa il diritto all’obiezione di coscienza del medico e dell’operatore sanitario esclusivamente ad un intervento diretto. La somministrazione di farmaci è tendenzialmente vista come indifferente nella valutazione etica, poiché ciascuno sceglie e agisce in prima persona nell’assunzione di una medicina; questa “pillola” non è un farmaco e tantomeno un “salvavita”, anzi: perciò è il suo effetto (l’aborto diretto e volontario) che cade pienamente sotto la valutazione della coscienza di ciascuno. In particolare, ogni medico deve essere libero di dissociarsi e di rifiutarne la prescrizione, la quale sarebbe una attiva e consapevole cooperazione ad un atto reputato ingiusto e illecito.
10. Un aborto è sempre e solo un aborto. Nonostante la diffusione, nonostante i numeri tanto imponenti da oscurarne la percezione reale, nonostante l’inganno semantico di cambiarne il nome (interruzione volontaria della gravidanza), nonostante gli sforzi per renderlo inavvertito, banale, routinario, l’aborto resta un atto gravemente ingiusto, un lutto da elaborare, una ferita da guarire. Perderne consapevolezza non cambia la realtà dei fatti: un fatto è un fatto. In barba a tutte le ideologie.
giovedì 20 agosto 2009
Lo scopo ideologico della RU486
Per chi volesse andare a capo dell'intera questione inseriamo qui il link dove è presente tutto il "dibattito": http://www.tuttocasarano.it/LE_VOSTRE_LETTERE/ru-486.html
Cari Remo e Patrizia,
inevitabile che vi siano delle polemiche è questo entro certi limiti è normale, tuttavia vorrei
cercare di dare il mio contributo, senza alcuna pretesa di essere esaustivo, o di sentirmi "
superiore a nessuno".
Vorrei subito sgombrare il campo da un equivoco: gli aborti clandestini ci sono sempre ci sono
sempre stati e ahimè, forse continueranno ad esserci, non a caso quando l'aborto era un reato
c'erano le cliniche che praticavano aborti contro legge; per questo, la legge 194 si propone di
raggiungere un equilibrio tra l'interesse della donna a diventare madre secondo una scelta
libera e consapevole, e quello del feto a venire alla luce e ad avere una vita autonoma. Se si dà
una lettura veloce del testo non ci si può non accorgere che l'interruzione della gravidanza e
prevista solo come " extrema ratio" come l'ultima tappa di un percorso teso ad accertare quale
sia l'autentica volontà della donna ed i motivi che la spingono a praticare l'interruzione
volontaria di gravidanza.
La legge prevede che la gestante che voglia praticare l'interruzione volontaria di gravidanza
debba affrontare 2 colloqui: uno presso il consultorio familiare che avrebbe, il condizionale e
d'obbligo, il compito di appurare l'autentica volontà della donna, di indagare sui motivi che la
inducono all'interruzione volontaria della gravidanza, e darle tutto il sostegno possibile, e
soltanto alla fine rilasciarle il relativo certificato; un altro colloquio presso la struttura pubblica
che deve effettuare l'intervento
Nella realtà questa procedura viene letteralmente bypassata ciò per 2 ragioni:
1) I consultori familiari pubblici non funzionano come dovrebbero
2) Per avere un certificato che autorizzi l'interruzione volontaria della gravidanza molto spesso
basta fare finta di minacciare il suicidio.
Lo so perché delle mie amiche lo hanno fatto.
Tutto questo giro di parole, e scusatemi se sono barboso, per dire che " il movimento della
vita", non ha la pretesa di cancellare sic et simpliciter la legge 194, anche perché ma vuole
promuoverne una sua integrale attuazione.
Non è un caso che gli abortisti usano da trent'anni gli stessi argomenti: la legge 194 è una
conquista di civiltà della donna ergo non si può toccare; abrogare la legge significherebbe
precipitare nel far west degli aborti clandestini, il problema è che da trent'anni a questa parte ,
com'è ovvio le cose sono cambiate: le tecniche con cui vine praticata l'interruzione volontaria
di gravidanza sono cambiate, ormai non c'è solo l'aborto chirurgico, ma anche quello chimico,
vedi appunto la RU 486.
Su una cosa concordo con te Patrizia: quando dici che la scelta per l'interruzione volontaria
della gravidanza è sempre una scelta sofferta, per questo, il movimento della vita in questi
anni si è adoperato per dare alla donna, il supporto morale e psicologico necessario, riuscendo
così a salvare 100. 000 bambini.
Credo che questo dato metta in risalto come l'identikit della donna che sceglie d'interrompere
la gravidanza non corrisponda a quello della tipica donna in carriera che si trova a dover
accettare una creatura non desiderata ne alla donna che è costretta a ricorrere all'aborto
perché ha a che fare con problemi che riguardano direttamente il bambino che porta in
grembo. Molto Spesso la scelta di abortire è maturata dalla donna in solitudine.
La RU 486 dietro il mal celato tentativo di rendere l'attuazione dell' I.V.G. Meno drammatica
della donna, rischia di portare al risultato contrario, quello di portare la donna ad una scelta
irrevocabile.
Anche io svolgo attività di volontariato in parrocchia e prima di trasmettere delle nozioni cerco
di portare ai ragazzi la mia esperienza di vita , mi sono sempre chiesto come reagirei se una
ragazza del mio gruppo venisse a confidarmi l'evento di una gravidanza non desiderata.
E' per questo che ho scelto di far parte del movimento per la vita.
Claudio Schiavano
mercoledì 5 agosto 2009
La pillola Ru486, quando si banalizza la vita
CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 31 luglio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'articolo dell'Arcivescovo Rino Fisichella, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, apparso su “L'Osservatore Romano”.
* * *
C'è una triste tendenza che si sta imponendo poco alla volta in alcuni frammenti della cultura contemporanea: la banalizzazione. Dalla vita alla morte tutto sembra sottoposto a un mero processo semplificativo che tende a rinchiudere ogni cosa in un affare privato senza alcun riferimento agli altri. In questo modo, però, la coscienza si assopisce e diventa progressivamente incapace di giudizio serio e veritiero.
L'applicazione della pillola Ru486 a tecnica abortiva è stata una via di ripiego per recuperare i capitali investiti dopo la verifica del fallimento per la sperimentazione che era stata prefissata. Già questo «banale» particolare la dice lunga sullo scopo di alcune ricerche che vengono fatte nei laboratori. Dimenticare che la scienza e la ricerca tecnologica devono avere come loro primo scopo quello di promuovere la vita e la sua qualità comporta un inevitabile slittamento con la conseguenza di porre al primo posto la sete di guadagno e non la salvaguardia della natura. I proclami sulla neutralità della scienza rimbombano in alcuni momenti particolari con il solo scopo di accreditare un prodotto piuttosto che per ricordare il valore fondamentale che la ricerca possiede. Non si può divenire complici di queste situazioni, denunciate con coraggio da Benedetto xvi nella sua ultima enciclica Caritas in veritate, quando in gioco vi è la vita umana.
Fermarsi alla sola analisi del rapporto costi e benefici per introdurre nel mercato la Ru486 è una posizione molto pilatesca sulla quale si dovrà riflettere per non cadere in altrettante forme di ipocrisia. Dovrà pur esserci un'autorità in grado di considerare i gravi rischi a cui le donne sono sottoposte nel momento in cui fanno ricorso a questo farmaco. Come ci si può sottrarre davanti al fatto che troppi casi di morte si sono verificati dopo l'assunzione di questo trattamento? Come non considerare gli aspetti etici che questa pillola comporta? Come trascurare l'impatto che avrà sulle giovani generazioni di ragazze che ricorreranno sempre più facilmente a questo uso?
Gli interrogativi non sono affatto ovvi e obbligano a una risposta che si faccia carico di fornire argomenti per non rincorrere i soliti luoghi comuni. I sofismi, in questo caso, possono servire per una forma di personale soddisfazione, ma non convincono sulla drammaticità della situazione che deve essere affrontata. Inutile tergiversare. La Ru486 è una tecnica abortiva perché tende a sopprimere l'embrione da poco annidato nell'utero della madre. Che il ricorso all'uso di questa pillola sia meno traumatico che sottoporsi all'operazione è tutto da dimostrare. Il primo trauma nasce nel momento in cui non si vuole accettare la gravidanza ed è proprio qui che si deve intervenire per aiutare la donna a comprendere il valore della vita nascente. L'embrione non è un ammasso di cellule né un po' di muffa come qualcuno ha avuto l'ardire di definirlo; è vita umana vera e piena. Sopprimerla è una responsabilità che nessuno può permettersi di assumere senza conoscerne a fondo le conseguenze.
L'assunzione della Ru486, quindi, non rende meno traumatico l'aborto, solo lo rinchiude ancora di più nella solitudine del privato della donna e lo prolunga nel tempo. È necessario ribadire che quanti vi fanno ricorso stanno compiendo un atto abortivo diretto e deliberato; devono sapere delle conseguenze canoniche a cui vanno incontro, ma soprattutto devono essere coscienti della gravità oggettiva del loro gesto. L'aborto è un male in sé perché sopprime una vita umana; questa vita anche se visibile solo attraverso la macchina possiede la stessa dignità riservata a ogni persona. Il rispetto dovuto verso l'embrione non può essere da meno di quello riservato a ognuno che cammina per la strada e chiede di essere accolto per ciò che è: una persona.
La Chiesa non può mai assistere in maniera passiva a quanto avviene nella società. È chiamata a rendere sempre presente quell'annuncio di vita che le permette di essere nel corso dei secoli segno tangibile del rispetto per la dignità della persona. Il cammino che si deve percorrere diventa in alcuni momenti più faticoso perché è difficile far comprendere che la via da seguire per mantenere il primato dell'etica non è quella di fornire con molta tranquillità una pillola, ma piuttosto quella di formare le coscienze. Questo compito è arduo perché comporta non solo l'impegno in prima persona, ma la capacità di farsi ascoltare e di essere credibile. La nostra opposizione a ogni tecnica abortiva è per affermare ogni giorno il «sì» alla vita con quanto essa comporta. Ciò significa ribadire il nostro richiamo all'urgenza educativa perché i giovani comprendano l'importanza di fare propri dei valori che permangono come patrimonio di cultura e di identità personale. Non potremo mai abituarci alla bellezza che la vita comporta dal suo primo istante in cui fa sentire di essere presente nel grembo di una madre fino al momento estremo in cui dovrà lasciare questo mondo.
Per questo motivo dinnanzi alla superficialità che spesso incombe permane immutato l'impegno per la formazione, così da cogliere giorno dopo giorno l'impegno per vivere la sessualità, l'affettività e l'amore con gioia e non con preoccupazione, ansia e angoscia.
[L'OSSERVATORE ROMANO - Edizione quotidiana - del 1 agosto 2009]
martedì 16 giugno 2009
Il no all'aborto è un'idea solo dei cattolici?
* * *
Il pensiero cristiano non riguarda solo l'aldilà, ma anche i rapporti tra gli uomini. La regola d'oro, "ama il prossimo tuo come te stesso", ha un valore non solo morale, ma anche civile. Chi potrebbe dire che la Chiesa non può esortare al rispetto del comandamento "non uccidere" perché si tratterebbe di un precetto religioso? Al fondo della ridicola obiezione che la Chiesa non deve imporre la Fede a nessuno sta il presupposto che il bambino concepito non sia un bambino, che il figlio sia una cosa e non un essere umano. Ma questo è proprio contro la rag ione e la scienza. Quando i credenti chiedono allo Stato di difendere il diritto alla vita non impongono proprio nulla. Si limitano a chiedere, e nelle democrazie chiedere significa anche votare e proporre leggi. Una legge che difende i diritti dei bambini non nati non è una legge di culto: non impone di andare a Messa la domenica, di digiunare in Quaresima o di pregare ogni giorno!
L'aborto non offende solo la visione religiosa dell'uomo, ma anche - e prima ancora - la ragione e la base stessa della società civile, la quale si costituisce e si organizza proprio per difendere la vita di tutti. Chi invoca il principio di laicità per legittimare l'aborto non sa quello che dice. La vera laicità non consiste nel contrastare la Chiesa e neppure nel ritenere di uguale valore tutte le possibili opinioni. Essa è un atteggiamento di fiducia nella ragione, come patrimonio comune che consente a tutti gli uomini di lavorare insieme, e si riconosce in un unico unificante valore: la uguale dignità di ogni essere umano, anche a prescindere da una Fede religiosa (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani).
Eppure si legge continuamente che la questione dell'aborto e della legge che lo regola investe qualcosa di più dell'aborto stesso. Riguarda la stessa concezione dello Stato laico. Come rispondere?
E' vero. E' proprio così, ma in senso esattamente opposto a quanto pensano i sostenitori di un potere statale libero di decidere sulla vita o sulla morte degli esseri umani senza alcun limite. La laicità dell'azione civile è cosa molto positiva e importante. Essa si oppone allo stato confessionale che ha caratterizzato la storia anche europea per molto tempo e che ancora oggi esiste specialmente nel mondo musulmano. E' Stato confessionale quello che pone la forza della legge civile a servizio della Fede, la quale, così, viene imposta ai cittadini dalle autorità civili. Molte guerre religiose sono state scatenate in passato da questa visione. Il principio "cuius regio eius et religio" stabiliva la regola che il popolo doveva seguire la stessa Fede e pratica religiosa del Re o del Principe. Fortunatamente, la modernità rifiuta questo modo di vedere il rapporto tra Fede e società civile.
La religione è il territorio più vasto della libertà e non può essere imposta. I cittadini sono in grado di vivere e di lavorare insieme anche se hanno pensieri diversi su Dio e sul destino della storia e delle singole vite umane. Ma questa possibilità di cooperazione pacifica e fruttuosa di tutti gli uomini in quanto tali suppone qualcosa di comune. In effetti, tutti possiedono la ragione, che è lo strumento con cui l'uomo può vedere la strada per camminare. Inoltre anche la direzione fondamentale del cammino è comune: la promozione della uguale dignità umana, come sta scritto nei più solenni e laicissimi documenti dell'umanità del nostro tempo, come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Non è dunque vero che "laico sia l'atteggiamento di chi nega in radice qualsiasi verità".
Vi sono due aspetti che non possono essere messi in discussione: la fiducia nella ragione e il valore dell'uomo. Vi è dunque un concetto nobile di laicità che tocca il diritto alla vita e dunque anche la questione dell'aborto. Anzi, proprio il riconoscimento del valore di ogni essere umano e quindi anche di colui che non è ancora nato è fondativo e confermativo della laicità . La visione cristiana dell'uomo non è in contrasto con la coscienza laica. Al contrario, proprio perché il cristianesimo rivela l'origine ultima e i contenuti più profondi della dignità umana, consolida quanto ogni uomo con la sua ragione intuisce o postula. Proprio nella questione antropologica, così come oggi si pone, si verifica un capovolgimento prezioso: non è più la forza dello Stato che aiuta la religione, ma al contrario è la Fede che sostiene la società civile nel suo obiettivo di fondo.
Che dire della pretesa di considerare l'aborto un diritto umano fondamentale?
Questa tesi è stata sostenuta particolarmente nella Conferenza su "popolazione e sviluppo", promossa dall'ONU al Cairo nel 1994, ma non ha trovato accoglienza nel piano finale di azione, dove fu usata la forma di compromesso: "L'aborto non può essere promosso come mezzo di controllo delle nascite". Ma, certamente, se viene negata l'identità umana del concepito, se l'aborto viene considerato uno strumento di tutela della salute, se i valori da perseguire sono soltanto la libertà e l'emancipazione della donna, allora diventa difficile non iscrivere l'interruzione della gravidanza nell'elenco dei diritti umani, mentre, al contrario, proprio il riconoscimento dell'uomo e della sua uguale dignità fin dal suo primo comparire nell'esistenza consolida tutta la teoria dei diritti umani. Essi perdono forza se non ne identifichiamo il titolare. E' inutile un elenco di diritti se è incerto il soggetto che li possiede, o peggio se gli Stati pretendono di definirlo autoritativamente con l'effetto di violare il principio di uguaglianza qualora vengano usati criteri restrittivi. Appare dunque evidente che di fronte all'embrione racchiuso nel seno materno o chiuso in una provetta la dottrina dei diritti umani si trova di fronte ad una svolta che può essere positiva (il suo consolidamento) ovvero dalle tragiche conseguenze, se l'uomo è negato. Ciò rivela il carattere tutt'altro che marginale della "questione antropologica".
Riguardo alla Legge 194, se da un lato molti parlano di un diritto all'aborto, altri dichiarano che la legge non lo considera un diritto. In realtà, dal punto di vista dell'ordinamento giuridico positivo italiano, esso è un diritto quando se ne sono verificate le condizioni formali e sostanziali.
Infatti, secondo l'ultimo comma dell'art. 8, il documento e il certificato rilasciato alla donna dal medico costituiscono "titolo" per eseguire l'intervento, che dunque non può essere negato perché la donna ha il diritto di ottenerlo. Peraltro, l' indicazione della Corte Costituzionale vorrebbe confermare una sorta di "stato di necessità" particolare, perché legato alla singolarità della gravidanza. Ne dovrebbero derivare conseguenze pratiche di rilievo specialmente in materia di risarcimento del danno per un aborto non riuscito o per una malformazione del figlio non individuata. Non è il caso di insistere in questa sede su questo complesso problema giuridico. In ogni caso è da escludere che anche nella Legge 194 l'aborto possa essere considerato come un diritto umano fondamentale.
Per chi volesse approfondire il tema, consigliamo la lettura del libro di Carlo Casini "A trent' anni dalla legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza" (Edizioni Cantagalli - Marzo 2008).
[I lettori sono invitati a porre domande sui differenti temi di bioetica scrivendo all’indirizzo: bioetica@zenit.org. I diversi esperti che collaborano con ZENIT provvederanno a rispondere ai temi che verranno sollevati. Si prega di indicare il nome, le iniziali del cognome e la città di provenienza]